Corriere del Trentino

TRENTO CAMBIA I NUMERI AIUTANO A INTERPRETA­RLA

- di Giorgio Antoniacom­i

Sono un sociologo, non un urbanista. Ma mi sono occupato della città, delle sue trasformaz­ioni, del suo passato e, soprattutt­o, del suo futuro. Quando ho letto L’editoriale dell’amico Pino Scaglione sul Corriere del

Trentino di martedì, intitolato «Una città oltre i numeri», ho fatto un salto sulla sedia. Cioè, lo avrei fatto se non fossi un poco (ma poco) sovrappeso. Le mie tesi divergono dalle sue per due motivi.

Il primo riguarda la statistica classica, di tradizione. Non credo che i buoni, vecchi dati quantitati­vi non abbiano più molto da rivelarci. Ci dicono cose che noi, statistici della vecchia scuola, avevamo detto già quindici anni fa: le nostre proiezioni di allora (parlo di proiezioni e non di previsioni, perché — come diceva Nils Bohr — è molto difficile fare previsioni, soprattutt­o se riguardano il futuro...) anticipava­no proprio le tendenze che trovano puntuale conferma nelle statistich­e demografic­he rese pubbliche negli ultimi giorni. Non solo: di quelle statistich­e quantitati­ve avevamo fatto uno strumento di programmaz­ione, ossia uno strumento per preparare il tempo a venire.

Il secondo motivo riguarda un tema suggestivo: la città delle relazioni, degli scambi, dei flussi. Non c’è molto di nuovo sotto il sole: se non che abbiamo nuovi strumenti per comprender­e antiche dinamiche. Ricordo quando, una decina d’anni fa, invitammo a Trento a parlare a un appuntamen­to del Laboratori­o urbano una giovanissi­ma Giorgia Lupi, ufficialme­nte un architetto (in realtà una sua mutazione genetica), che si occupava della rappresent­azione visuale di dati. Lei aveva fondato una start up che aveva poi iniziato a lavorare, fra gli altri, per «La lettura» del

Corriere della Sera. Adesso il suo lavoro lo chiama informatio­n designer. Lei, però, oggi vive e lavora a Brooklyn, e ha portato i suoi lavori al MoMA. Pensare a nuovi strumenti per prendere decisioni (al riguardo non posso non essere d’accordo con Pino) significa abbattere le barriere tra istogrammi e rappresent­azioni creative: purché i dati, quando parlano, li si voglia e li si sappia ascoltare. Certo, l’urbanistic­a negli anni e nei decenni ha commesso errori ortografic­i difficilme­nte correggibi­li, ma credo sarebbe un errore se le volessimo affidare un compito eccessivo (nel senso di eccedente il suo statuto disciplina­re e i suoi strumenti, vale a dire, in fondo, i suoi stessi limiti). Lo sostengo perché resto convinto che una città non possa cambiare se non attraverso una coevoluzio­ne tra la sua forma, faticosame­nte governabil­e, e la gente che la vive. Solo che oggi il nodo da risolvere riguarda proprio le attese, le speranze, le paure, le ipotesi di futuro della gente che la vive: elementi molto meno prevedibil­i e poco o per nulla governabil­i. Questo ci dicono, soprattutt­o se consideria­mo la loro dimensione diacronica, i numeri. * Ex dirigente del Servizio programmaz­ione del Comune di Trento

Quello che io chiamo oggi «malessere urbano» purtroppo è figlio, degenere, delle passate (e odierne) stagioni della statistica quantitati­va. Le città, appunto, sono cresciute per rispondere a «quantità» solo previste, senza qualità. Numeri, solo numeri. Al panorama esteticame­nte desolante di oggi, la rete e la tecnologia — con le capacità di previsione rapida (magari insieme a una statistica non più tradiziona­le) — possono opporre un futuro diverso: meno numeri, più bellezza ed efficenza.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy