Winkler, felice per Europa «Deluso dai musei trentini»
L’erede dell’artista fa un bilancio di mostra e archivio
Raggiungere al telefono Ivo Winkler è un vero e proprio appuntamento di grande cordialità dedicato non solo a parlare della mostra Europa (a Cavalese fino a martedì, www.artecavalese.it) ma, soprattutto, a ricordare la figura di un padre sempre «sorridente per i veri, pochi amici». Othmar Winkler: un artista spesso descritto come scorbutico e spigoloso, un uomo ricco di slanci ma anche di ripensamenti, un impetuoso, insomma, e forse anche un impulsivo il quale, tuttavia, nell’incomunicabilità del suo carattere ha saputo attraversare il ‘900 con coerenza e convinzione, rimanendo sempre fedele alla sua idea elevata e «quasi religiosa» di arte come missione (non come lavoro). Se non fosse scomparso quasi vent’anni fa - a Trento, nel 1999 - oggi di Othmar Winkler si parlerebbe come di uno scultore-pittore non «politically correct». «Esatto,
mio padre non era “politicamente corretto”». «Europa», partiamo dal titolo.
«Altoatesino di nascita e trentino d’adozione, mio padre era legato al nostro territorio (parlava benissimo il ladino) ma aveva un respiro internazionale: dall’Italia alla Norvegia, passando dalla Mitteleuropa, ha unito temi di varie culture. Opere sacre di matrice cristiano-cattolica e opere mitologiche della tradizione norrena. Ha trascorso un periodo a Oslo, conoscendo da vicino Munch, il famoso autore del dipinto L’Urlo. Sullo stesso soggetto, mio padre ha realizzato una scultura altrettanto espressiva». Quante sono le opere esposte?
«Un centinaio e coprono tutta la produzione dal 1930 circa agli anni ‘90. Quadri, disegni e sculture. Allestirla è stato molto impegnativo». È soddisfatto finora?
«Molto soddisfatto. A Cavalese ci sono curatori molto appassionati. Come lo era, d’altronde, mio padre per il quale il prodotto artistico non doveva essere trattato come una merce». Qual è l’opera che la emoziona di più?
«Il mio gusto nel tempo è cambiato. Oggi direi che mi colpisce di più la produzione dal 1955 al 1965, il ciclo del mondo contadino». Che rapporto aveva con suo padre?
«Di simbiosi. Dal 1961 ho cominciato ad aiutarlo. All’inizio mi limitavo a portarlo in giro in macchina perché non aveva la patente. Durante
gli spostamenti condividevamo i suoi progetti. Piano piano, sono diventato suo collaboratore e per trent’anni sono stato sempre con lui». Progetti per il futuro?
«Ne ho uno dedicato al ‘68, un altro al tema dell’Apocalisse e il terzo incentrato sul mondo contadino. Ora sto cercando spazi espositivi». Gallerie d’arte tra Trento e Bolzano?
«Non solo. Purtroppo devo dire che non ho ricevuto una cortese risposta...» Vuole approfondire?
«Dietro a ogni mostra c’è una lunga e difficile ricerca nel cospicuo Archivio Winkler. Un archivio nel quale, se non lo conosci come lo conosco io, puoi letteralmente naufragare: è una miniera, ma non è ben organizzato. Mi sono rivolto a chi, a Trento in particolare, potrebbe catalogarlo con veri e propri criteri archivistici affinché un patrimonio artistico, anche d’origine regionale, non vada disperso. E sulla questione, a mio avviso fondamentale, non ho ricevuto alcuna risposta da parte dei nostri Musei». Le fa rabbia questo?
«Molta. A onor del vero, qualche responsabile museale trentino è venuto a vedere l’Archivio, ma non chi può davvero decidere di prenderlo in carico. Quando io non ci sarò più come finirà? Bruciato?».