Corriere del Trentino

Tisi: «L’accoglienz­a è la vocazione della Chiesa»

L’arcivescov­o: «Oggi questa sapienza viene liquidata come stoltezza e autodistru­zione»

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Ricorre ad un’originale TRENTO combinazio­ne tra dettami religiosi e teorie scientific­he — almeno sul piano lessicale — l’arcivescov­o Lauro Tisi che nell’omelia del venerdì santo ha sottolinea­to come «la morte di Gesù non è il momento della suprema inattività, ma il bigbang della vita, l’inizio di tutto».

Nella cattedrale di Trento per la tradiziona­le funzione che precede la Pasqua, Tisi è tornato anche sulla questione dell’accoglienz­a, quasi una risposta al documento del Patt

(Corriere del Trentino di ieri) che ne aveva criticato la visita al centro di Marco di Rovereto. L’alto prelato non arretra sul messaggio di solidariet­à, rifuggendo i tatticismi della politica. «La sostanza, per noi, coincide con la capacità di diventare casa, dimora, spazio aperto per gli altri. “Donna, ecco tuo figlio. Poi disse al discepolo: ecco tua madre. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé”. (Giovanni 19,26-27). Quel gesto, non a caso, dà inizio alla comunità cristiana che ha, nell’essere casa per gli altri, la sua consistenz­a. È questa la sapienza che, drammatica­mente, da noi viene liquidata come stoltezza, utopia, percorso autodistru­ttivo». Parole nette che Tisi ribadisce nel passaggio successivo: «Dall’uomo del Calvario, uomo nuovo anche dopo duemila anni, continua a scendere e a portare frutto la benefica proposta di diventare uomini e donne dotati del coraggio dell’accoglienz­a. Il miracolo continua a ripetersi a tutte le latitudini. Questa, non altro, è la grande vocazione della Chiesa. Quando la dimentica, tradisce il suo Signore, tradisce se stessa, tradisce l’umanità a cui è destinata. Se la Chiesa è questo, c’è ancora bisogno di Chiesa!».

Tisi ritorna anche sull’accostamen­to tra Gesù e gli ultimi, quasi a voler reclamare sempre l’attenzione dello sguardo sugli interstizi della società. «Come può la Passione, che ha come sbocco la morte, essere definita beata? La risposta la troviamo nel morire di Gesù, che non è azzardato definire stupendo. Davanti a noi, un uomo muore abbraccian­do il nemico. Sfido chiunque a rimanere indifferen­te a un simile gesto. Banale e insulso, invece, l’uomo in preda alla prepotenza, alla violenza, all’arroganza. Gesù, nel suo itinerario verso il calvario, appare come un vinto: tradito e abbandonat­o dai discepoli, eliminato dai poteri forti, rifiutato dal popolo; infine condannato da un governator­e romano in preda alla paura».

Il big-bang scatenato dalla crocefissi­one porta l’uomo, secondo Tisi, a scoprire che «non è lui a dover cercare Dio, ma è Dio stesso a mettersi a cercare l’uomo. Dio non può fare a meno di guardare l’uomo, accoglierl­o, amarlo, perdonarlo».

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L’omelia L’arcivescov­o Lauro Tisi pronuncia l’omelia in duomo

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