L’INCERTEZZA DELL’AVVENIRE
La partita per la presidenza della Federazione delle cooperative è il caleidoscopio di un’ampia faglia che sta avanzando in campo politico e sociale. Il sistema assoluto (quasi di ispirazione hegeliana) per eccellenza, il tutto che sapeva sterilizzare le antitesi in una sintesi conformista e di potere, ora lascia il posto alla frammentazione come se le spinte del caotico presente non potessero essere più trattenute. In nessuna forma e in nessuna circostanza.
Il movimento cooperativo vive un travaglio simile a quello della politica dove le partiture tradizionali sono state accantonate per lasciare spazio a una ricomposizione differente degli interessi individuali (quelli collettivi giacciono nella memoria). E dove la perdita dell’innocenza con i licenziamenti del Sait cambia innegabilmente i valori e lo statuto materiale della cooperazione.
La sua balcanizzazione interna, se da un lato rompe un monolitismo spesso opaco, dall’altro nebulizza la sua rappresentazione. È la causa-effetto della crisi di un modello di potere che non ha saputo rinnovarsi, dell’esplosione del sociale e produrrà effetti nell’orientamento del consenso politico, perché Via Segantini è sempre stato un bacino determinante. Non di militanza spicciola ma di sistema. Il trionfo della Lega celebrato nelle sue sale, quasi a voler sostituire il rito ulivista e dei centrosinistra succedutisi, è un’estetica potente. Una breccia, una disponibilità di dialogo in tempo di disorientamento etico e valoriale.
All’incerto avvenire cooperativo, si accostano i tremolii dell’area politica e culturale popolare. Le elezioni del 4 marzo l’hanno negata nelle urne perché quella parte di cattolicesimo inquieto e solidale che si era in buona misura coagulata intorno alla Margherita — e poi al Pd e all’Upt — ha sposato la protesta radicale e, in minima parte, ha trovato un argine nei dem. Tale scompaginamento non si rideterminerà automaticamente nelle urne di ottobre — peraltro lo scarto di affluenza tra politiche e provinciali potrebbe ritracciare i contorni del fenomeno —, ma interroga i suoi interpreti, o ciò che resta di loro. È a quella esperienza politica, forse con un’identità più allentata rispetto al passato, che fanno la corsa in tanti per riempire uno spazio apparso fragile e contendibile.
Cooperazione e popolarismo non sono sinonimi, certamente, ma nelle loro nebbiose rotte passa una parte della comprensione del Trentino che verrà.