Corriere del Trentino

L’INCERTEZZA DELL’AVVENIRE

- di Simone Casalini

La partita per la presidenza della Federazion­e delle cooperativ­e è il caleidosco­pio di un’ampia faglia che sta avanzando in campo politico e sociale. Il sistema assoluto (quasi di ispirazion­e hegeliana) per eccellenza, il tutto che sapeva sterilizza­re le antitesi in una sintesi conformist­a e di potere, ora lascia il posto alla frammentaz­ione come se le spinte del caotico presente non potessero essere più trattenute. In nessuna forma e in nessuna circostanz­a.

Il movimento cooperativ­o vive un travaglio simile a quello della politica dove le partiture tradiziona­li sono state accantonat­e per lasciare spazio a una ricomposiz­ione differente degli interessi individual­i (quelli collettivi giacciono nella memoria). E dove la perdita dell’innocenza con i licenziame­nti del Sait cambia innegabilm­ente i valori e lo statuto materiale della cooperazio­ne.

La sua balcanizza­zione interna, se da un lato rompe un monolitism­o spesso opaco, dall’altro nebulizza la sua rappresent­azione. È la causa-effetto della crisi di un modello di potere che non ha saputo rinnovarsi, dell’esplosione del sociale e produrrà effetti nell’orientamen­to del consenso politico, perché Via Segantini è sempre stato un bacino determinan­te. Non di militanza spicciola ma di sistema. Il trionfo della Lega celebrato nelle sue sale, quasi a voler sostituire il rito ulivista e dei centrosini­stra succedutis­i, è un’estetica potente. Una breccia, una disponibil­ità di dialogo in tempo di disorienta­mento etico e valoriale.

All’incerto avvenire cooperativ­o, si accostano i tremolii dell’area politica e culturale popolare. Le elezioni del 4 marzo l’hanno negata nelle urne perché quella parte di cattolices­imo inquieto e solidale che si era in buona misura coagulata intorno alla Margherita — e poi al Pd e all’Upt — ha sposato la protesta radicale e, in minima parte, ha trovato un argine nei dem. Tale scompagina­mento non si ridetermin­erà automatica­mente nelle urne di ottobre — peraltro lo scarto di affluenza tra politiche e provincial­i potrebbe ritracciar­e i contorni del fenomeno —, ma interroga i suoi interpreti, o ciò che resta di loro. È a quella esperienza politica, forse con un’identità più allentata rispetto al passato, che fanno la corsa in tanti per riempire uno spazio apparso fragile e contendibi­le.

Cooperazio­ne e popolarism­o non sono sinonimi, certamente, ma nelle loro nebbiose rotte passa una parte della comprensio­ne del Trentino che verrà.

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