Pd, lista «bloccata» dagli eletti Fuori solo Borgonovo e Plotegher Pinter: «Risposte ai ceti popolari»
La prossima settimana il Pd dovrebbe chiudere la partita sul segretario. In prospettiva di un mandato che non si profila come «pieno», un peso particolare assumerà la prossima commissione elettorale Ad oggi, i dem non hanno la fila alla porta di persone disposte a candidarsi: con un gruppo consiliare che, con l’eccezione di Donata Borgonovo Re e Violetta Plotegher, punta in blocco alla riconferma, le chance di elezione paiono troppo basse.
Nel tentativo di allargare la rappresentanza, superato lo scoglio della segreteria, i dem dovranno anche decidere se presentare la classica lista di partito, o una lista «democratica» in cui compaia sì il simbolo, ma che sia appetibile anche a quelli che una volta si chiamavano «indipendenti». Sì, ma dove scovarli? La sfida parte in salita. Il Pd ha una buona rappresentanza a Trento, discreta in Vallagarina e nell’Alto Garda, ma per il resto è quasi assente. Gigi Olivieri, una delle poche figure forti del partito nelle valli (Rendena), non ci sarà. Michele Bontempelli forse proverà a tamponare la Val di Sole, ma ci sono zone come le valli di Fiemme e Fassa dove i dem praticamente non ci sono.
Il primo problema — un classico per il Pd del Trentino — sarà quindi territoriale. ma rischia di non essere l’unico. Borgonovo Re ha già detto che non ci sarà e Plotegher pare intenzionata a seguirne l’esempio. Gli altri sette consiglieri, però, puntano tutti alla conferma. Un’ambizione anche naturale, visto che veri e propri «veterani» non ce ne sono. Ma come rinnovare le liste — in parte un obbligo dopo il 4 marzo — se gli spazi per emergere sono così stretti? Come convincere «volti nuovi» a fare i semplici portatori di voti? Un dilemma che toccherà alla commissione elettorale affrontare.
Roberto Pinter, uno dei garanti del partito, si muove con i piedi di piombo, ma lascia intendere che il Pd non può pensare di puntare alla conferma dello status quo. «Per prima cosa direi che l’attuale coalizione deve essere il punto di partenza, non può essere il punto d’approdo. Occorre quindi risolvere alla svelta questo primo problema e Rossi non può pensare che il punto fermo su cui impostare tutto sia il suo nome. È poi evidente, dopo il voto del 4 marzo, che un segnale di discontinuità va dato e io mi chiedo chi, se non il Pd, deve darlo?». Quando parla di discontinuità, però, Pinter non si riferisce tanto alle persone. «Servono energie nuove, questo è fuori dubbio, ma a cosa serve avere facce nuove se poi fai ripetere loro cose vecchie? È nella proposta politica, prima di tutto, che bisogna dare il senso della discontinuità. Allora si sarà credibili quando si proporrà anche un parziale rinnovamento della classe dirigente». Con un centro politico assai affollato e che il 4 marzo ha dimostrato non essere più decisivo, la sfida secondo l’ex vicepresidente è un’altra. «Non si tratta tanto di riagganciare i dirigenti di Leu, ma di avere qualcosa da dire ai ceti popolari che il Pd ha perso di vista in questi anni e che hanno votato in massa per 5 Stelle e Lega. Lì il Pd ha i suoi interlocutori naturali. Ad esempio indicando come l’Autonomia può essere uno strumento per ridurre i danni che la globalizzazione economica ha prodotto nei ceti meno abbienti».
Garante Il rinnovamento non è far dire cose vecchie a volti nuovi