PRIGIONIERI DEL PRESENTE
La sindrome Tina (There is not alternative), documentata da importanti tradizioni di studio e ricerca, è diffusa anche qui. I fenomeni a cui si riferisce sono principalmente legati alla nostra difficoltà di innovarci e considerare l’autonomia come un laboratorio per abitare l’attualità del mondo. L’ultimo esempio è la posizione istituzionale rispetto al Gay pride, che non necessita di commenti di corto respiro, ma andrebbe considerata, insieme alla questione dell’omofobia e delle preferenze di genere nelle modalità di voto, come indicatrice di una precisa mentalità.
Al centro del problema, a ben pensarci, è il tema della cura, del prendersi cura. Il pensiero, diversamente da quanto siamo abituati a ritenere, non è una facoltà dell’intelletto localizzata nel cervello, bensì il frutto di un’organizzazione sociale che si sviluppa proprio attraverso i dispositivi sostenuti, anticipati o trattenuti dalla istituzioni. È ben vero che chi esercita la funzione di governo è scelto dai cittadini, almeno in una democrazia, ma è altrettanto vero che chi detiene il ruolo di comando ha più responsabilità di chi lo ha votato perché ha più potere decisionale. Il modo in cui viene interpretato quel ruolo può appunto anticipare e innovare, oppure trattenere e limitare. Se il governare è inteso come cura, non dovrebbe limitarsi ad amministrare il consenso ma guardare in avanti, non esclusivamente il presente e il passato. Quando ci occupiamo del nostro giardino, per esempio ora con la bella stagione, potando un albero da frutto pensiamo non solo alla sua esteriorità attuale e a come possa arredare più o meno alla moda il nostro habitat, ma anche ai frutti che produrrà. Se faremo così, mangeremo dei buoni frutti.
Governare, allora, è anche capire che le alternative ci sono e non sono così lontane ma passano per strada. L’incuria prodotta da un’economia spesso speculativa si è diffusa alla politica che specula sugli eventi alla ricerca ossessiva di consenso, perdendo opportunità importanti per affermare una civiltà della tolleranza che avrebbe ricadute assai significative anche in termini di immagine di una comunità aperta e ospitale. Eppure, dalle differenze di ogni tipo, all’ambiente e al paesaggio, a se stessi e al mondo in cui viviamo, oggi la necessità di prendersi cura è universalmente riconosciuta e richiede nuovi dispositivi che solo una pensabilità politica all’altezza dei tempi può generare.