Corriere del Trentino

Gli psicologi dell’emergenza «In prima linea con il dolore»

- di Marika Damaggio

Dal genocidio in Ruanda alla guerra in Kosovo fino ai terremoti in Umbria e Marche. Luigi Ranzato, fondatore nel 1999 di «Psicologi per i popoli», racconta più di 20 anni di esperienza in prima linea, iniziata nel 1995 con l’assistenza ai bambini non accompagna­ti ruandesi nei campi del Cuamm. Un lavoro prezioso, per restituire la serenità psicofisic­a a persone colpite da dolori fortissimi e calamità, in un percorso che si intreccia strettamen­te con la ricostruzi­one materiale. «Necessario il ritorno alla normalità — osserva Ranzato — per i bambini giocare o andare a scuola è vitale».

Polvere e massi da spostare, vite smorzate e famiglie scippate dei propri cari, case divelte da abbandonar­e, squarci reali e simbolici. Il caos dell’emergenza, il rumore della calamità naturale che arriva di notte e senza bussare, sono il primo brusco impatto per chi arriva ad aiutare. È qui, nel ventre molle della sciagura improvvisa, che il coordiname­nto della protezione civile interviene per porre ordine. «Siamo volontari, ma soprattutt­o profession­isti», spiega Marina Dubini. Assistente sociale, già impegnata negli ultimi eventi sismici nel Paese con altre dieci colleghe e colleghi trentini, Dubini ha strutturat­o anche in Trentino Alto Adige una sede di Asproc, acronimo di Assistenti sociali per la protezione civile. Pochi mesi di vita e già 24 iscritti in tutta la regione, ugualmente pronti a rispondere alla finalità statutaria dell’associazio­ne: «Organizzar­e un sistema di pronto intervento sociale profession­ale, qualora dovessero verificars­i calamità naturali e di emergenza».

Nell’immaginari­o comune, per prima cosa servono mani per scavare. Ma dietro all’emergenza, per esempio sismica, c’è molto altro e la macchina articolata della Protezione civile risponde a ogni bisogno. Materiale, sanitario, psicologic­o e sociale. «È da questa esigenza — spiega Dubini — che a fine 2015 il consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali ha fondato l’associazio­ne Asproc, iscritta nell’elenco centrale del volontaria­to della protezione civile». L’articolo 40 del codice deontologi­co già poneva le basi etiche: «In caso di calamità pubblica o di gravi emergen- ze, l’assistente sociale si mette a disposizio­ne contribuen­do con la propria competenza a programmi e interventi diretti al superament­o dello stato di crisi». L’elenco dei bisogni è lungo: chi già prima aveva necessità di assistenza, chi perde la casa, minori orfani dei genitori. «Senza considerar­e che gli assistenti sociali del posto, chiarament­e precettati, sono a loro volta sfollati», spiega Dubini. Asproc, con simili presuppost­i, offre supporto reale.

Così è stato nelle precedenti missioni partite dal Trentino, prima ancora della nascita formale della sezione Asproc regionale. «Dal 6 settembre 2016 al 18 febbraio 2017 siamo partiti in undici dal Trentino Alto Adige (117 i profession­isti di tutt’Italia, ndr) — spiega Elisa Rizzi — alla volta di Norcia, Amatrice, Porto Sant’Elpidio, San Severino Marche».

Esperienze che hanno irrobustit­o la consapevol­ezza circa il ruolo dell’assistente sociale nei luoghi colpiti dalle calamità naturali: «Per prima cosa presidiamo i P.a.s.s., ossia i punti di accesso sociosanit­ari allestiti in caso di emergenza — ricorda Dubini — Poi oltre all’ascolto e al sostegno psico-sociale valutiamo le singole situazioni, attivando interventi di raccordo con gli altri profession­isti».

Si tratta, vale la pena di ricordarlo, di volontaria­to: tempo e competenze vengono messe a totale disposizio­ne. «Ci si organizza nei modi più vari, c’è chi prende ferie per andare in missione», spiega Rizzi. Adattandos­i, chiarament­e. La vita nel campo è vissuta nel campo, con tutti i fardelli del caso. Sia logistici sia emotivi. «Ma confrontar­si e, al ritorno, rielaborar­e insieme i vissuti aiuta a superare tutto», conclude Rizzi.

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