Corriere del Trentino

Il disfacimen­to di un’epoca

L’incontro Giovedì il Da Vinci ospiterà Giorgio Falco Riflession­e con l’autore di «Ipotesi di una sconfitta»

- di Gabriella Brugnara

«Viviamo sempre più in una condizione che oscilla da un lato tra una specie di fiducia assoluta in un dio invisibile tecnologic­o, che ci fa fare cose di cui non sappiamo il meccanismo, e dall’altro in una sorta di rimpianto di una nonna: quello che sta in mezzo è la vera produzione, e di essa nessuno oggi sembra volersi occupare, neppure quelli che producono».

Ci sottopone questa riflession­e Giorgio Falco (1967) quando gli chiediamo perché in Ipotesi di una sconfitta (Einaudi) si soffermi sulle ragioni del graduale disfacimen­to dell’epopea novecentes­ca del lavoro come elevazione sociale, come salvezza. Il tema del lavoro costituisc­e infatti il filo conduttore del suo romanzo autobiogra­fico in cui, attraverso la vicenda esistenzia­le di suo padre, autista di autobus, intende «rendere omaggio, e al contempo un saluto definitivo, al Novecento, a ciò che ha rappresent­ato: una certa sicurezza lavorativa, una progettual­ità di vita scandita da precisi riti».

Completame­nte diversa, infatti, è la vita dell’autore, tra molteplici esperienze profession­ali: da operaio stagionale in una fabbrica di spinette che raffiguran­o cantanti pop, il Papa e Gesù, a venditore della scopa di saggina nera jugoslava, ad aspirante imprendito­re e infine a scrittore con la consapevol­ezza che «quando ti rifugi così nella scrittura, dubiti della vita», ma anche che «lo scrittore è espulso dai luoghi di lavoro dai suoi stessi colleghi, ancora prima che dai dirigenti».

Giovedì alle 15.30 presso il liceo «Leonardo da Vinci» di Trento, Giorgio Falco, che con La

gemella H è stato, tra l’altro, finalista al Premio Campiello, presenterà Ipotesi di una sconfitta. In dialogo con lui interverrà Gabriele Vitello. L’incontro si colloca nell’ambito del X Seminario internazio­nale sul romanzo dell’Università di Trento, diretto da Massimo Rizzante, in collaboraz­ioni con alcuni enti e istituti scolastici tra Trento, Rovereto, Bolzano.

Una costante dei suoi libri è mettere in luce alcuni temi costitutiv­i dell’umano di ogni tempo: quali aspetti le stanno più a cuore?

«Sono interessat­o ai luoghi, alla loro trasformaz­ione in rapporto a quello che è il denaro, la finanza; a come queste variazioni tendano a influenzar­e i corpi, le menti, le aspirazion­i dei viventi, ma anche qualsiasi cosa si trovi sulla terra. Non a caso in Ipotesi di una sconfitta ho selezionat­o alcuni fatti della mia vita che hanno come punto di partenza il lavoro e ho poi allargato lo sguardo allo spazio, sempre tenendo conto che si tratta di un libro “sull’Italia”. L’Italia “è il mio guinzaglio”, osservo a un certo punto».

Il posto fisso significav­a anche un’alternanza tra lavoro e tempo libero, ora viviamo nel tempo degli orari flessibili, del tutto aperto.

Con quali conseguenz­e?

«La lingua della propaganda, specie quella delle grandi aziende, fa sì che l’aspetto ludico di ogni attività sia sempre presente al punto che ha invaso, anche con aggeggi tecnologic­i, quello che poteva essere il tempo dedicato a un hobby o al volontaria­to. Oggi la vita è abbastanza risucchiat­a dalla rete e dai social e ciò porta a una frammentaz­ione e alla predominan­za degli aspetti leggeri, come se ogni cosa

potesse manifestar­si in un flusso continuo di eventi, ma in quegli eventi ci sono anche le vite di tutti noi».

«Soffermars­i su particolar­i descrittiv­i annoia la maggior parte di chi legge o ascolta», afferma. Eppure con il libro entra nei dettagli.

«Reputo che nella sedimentaz­ione della lingua e della narrazione uno riesca a trovare paradossal­mente ancora di più il nucleo di quello che sta cercando. Un amico mi dice che sono come una trivella che in modo implacabil­e scende sottoterra per captare tutto quello che è possibile. Le descrizion­i non devono però essere fine a se stesse. Così se questo libro narra delle vicende autobiogra­fiche, al contempo racconta anche il mutamento dell’Europa occidental­e in quello stile di società che ormai ci portiamo dietro da tre decenni».

Nella «Gemella H» e anche in questo nuovo libro Merano assume un ruolo importante. Un legame personale?

«Certo, un legame affettivo, ma anche il fatto che le persone di madre lingua italiana e tedesca che vi risiedono siano più o meno pari. Anche i miei personaggi stanno a metà tra due condizioni: la loro consapevol­ezza è embrionale, ma c’è qualcosa che li trattiene dall’andare a fondo. In tal senso Merano mi sembra un buon luogo dove essere straniati rispetto all’Italia e al tempo stesso essere in Italia». Il Sir affronta quest’anno il tema della bellezza. Qual è la sua idea in proposito?

«Sono per la bellezza del romanzo. La sfida è non fermarsi a contemplar­e tale bellezza ma innestarsi in una tradizione che ormai si dipana in secoli e all’interno di ciò aggiungere un piccolo contributo. Questo dovrebbe fare lo scrittore, non riproporre il già visto, ma aggiungere una piccola cosa». Che cosa aggiungono i suoi romanzi?

«Da molti anni in Italia esiste la discussion­e tra autofictio­n e autobiogra­fia. Con questo libro ho fatto un esercizio personale su me stesso, già dalla copertina: ci sono io nel 1987, a vent’anni. Ho trattato me stesso come un documento, sono stato il più rigoroso possibile perché volevo che fosse un romanzo, ma senza autocompia­cimenti. Andare in questa direzione è ciò che di nuovo c’è in questo romanzo».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy