Neri Marcorè: «Niente più alibi»
Comunale, domani in scena «Quello che non ho» Lo spettacolo è un omaggio a De Andrè e a Pasolini
Volevo mostrare un incrocio dei loro sguardi e imitarli nella loro sensibilità rispetto agli ultimi, a ciò che è considerato dannoso
«Sì, perché dovremmo imparare a guardare al presente senza l’atteggiamento che giustifica ogni cosa che facciamo. Nello spettacolo si parla dell’inquinamento, dell’enorme Atlantide di rifiuti di plastica che galleggia al largo delle Hawaii; di guerre civili causate dal coltan, di sfruttamento di bambini e di decrescita felice. È una sorta di riflessione collettiva, io mi limito a innescare riflessioni a far nascere domande».
De Andrè e Pasolini sono e sono stati due punti di riferimento importanti per la sinistra italiana. Riportarli in scena è anche un suggerimento per chi non se la sta passando benissimo? «No, Quello che non ho è nato quattro anni fa in un contesto politico molto diverso. La forza di entrambi stava proprio nel non fare sconti nemmeno al gruppo intellettuale di appartenenza, De Andrè era un anarchico e Pasolini criticava senza fare sconti a nessuno, indipendentemente dalle parti politiche. Lo spettacolo prescinde dall’epoca che stiamo vivendo, certe idee si portano avanti a prescindere dalla convenienza del momento».
Come nasce questo incontro tra Pasolini e De Andrè, quali sono i punti di contatto?
«Lo spettacolo parte da un semplice pretesto. L’io narrante, in un giorno del 1995, compra il Corriere della Sera mentre si reca a un concerto di De Andrè e vi trova un inserto speciale dedicato agli
Scritti corsari di Pasolini, testi che conosceva ma che non aveva mai letto. Il concerto inizia e De Andrè annuncia che la canzone che sta per cantare, Una storia sbagliata è dedicata a Pasolini. È l’unico incrocio tra i due personaggi che non hanno mai fatto cose insieme».
Due personalità molte diverse: Faber più schivo e appartato comunicava quasi esclusivamente attraverso le sue canzoni, Pasolini era editorialista, regista, poeta...
«Sì, utilizzavano forme espressive diverse: una fortuna per lo spettacolo. Queste differenze lo arricchiscono». Ma c’era qualcosa che li accomunava?
«La profondità, l’onesta intellettuale. Personalmente, ammiro il coraggio di Pasolini e la sua grande forza profetica. La sua analisi del consumismo risale a oltre quarant’anni fa, aveva già compreso che avrebbe portato alla disfatta della coscienza critica, a una sorta di droga di voluttà. Tutti gli altri, in quegli anni, guardavano altrove e, grazie al boom economico, preferivano godersi la vita più facile. Di Faber non si può non ammirare il rigore con cui si presentava al pubblico e componeva. L’arte per l’arte e non per occupare una fetta di mercato».
Marcorè salirà sul palcoscenico del Comunale di Bolzano accompagnato da tre chitarristi e cantanti: Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini. Lo spettacolo è scritto e diretto da Giorgio Gallione e prodotto dal Teatro dell’Archivolto e dallo Stabile di Genova.
Due personaggi profondi, onesti, con grande coscienza critica, devoti all’arte per l’arte, senza fini materiali