POCHI LAUREATI, MENO QUALITÀ
Il Consiglio provinciale ha approvato recentemente un atto politico con il quale si sollecita il parlamento e il governo a modificare i meccanismi per determinare il numero di immatricolati a medicina. In particolare si stigmatizza il fatto che attualmente gli accessi non garantiranno il soddisfacimento dei bisogni futuri (nei prossimi anni mancheranno, anche in Trentino, pediatri e medici di base). Il documento ripropone il tema della programmazione degli ingressi all’università. Molti lo difendono adducendo argomenti non privi di pregio: per ammettere più persone occorre avere maggiori spazi e docenti, pena uno scadimento della qualità del servizio e, quindi, del «prodotto». Oppure si sostiene che ammettere tutti darebbe vita a una finta gara, nella quale chi ha più possibilità troverebbe comunque il modo di ritagliarsi il proprio spazio privilegiato (si pensi, ad esempio, a chi ha le capacità di pagare l’iscrizione ad atenei prestigiosi, magari stranieri). Sul versante opposto c’è chi osteggia il numero chiuso ritenendo ingiusta la selezione all’ingresso e auspicando che essa avvenga più avanti sulla base di ciò che si fa lungo il percorso di studi.
La deliberazione approvata dal Consiglio provinciale ci fa vedere il problema da un punto di vista diverso. Già sappiamo che gli iscritti a medicina di oggi sono insufficienti a mantenere gli attuali standard di cura in futuro. Cosa penseremmo di governanti che decidono di costruire un ospedale con soli venti posti letto per una città di milioni di abitanti? Semplicemente che hanno scelto di riservare solo a pochi la possibilità di essere curati: verosimilmente coloro che potranno pagare di più per usufruire di una risorsa scarsa.
Il discorso non vale però solo per la laurea in medicina. Avere pochi laureati significa avere meno persone in possesso di capacità di critica e, più in generale, minore estensione e qualità dei servizi offerti. Al di là delle ragioni connesse alla disponibilità di spazi e risorse, la difesa del numero programmato può nascondere una callida strategia sociale. Certamente ha senso preoccuparsi di non far entrare nell’ascensore più persone di quanto lo stesso possa sollevare, per evitare che si blocchi. Ma chi ha visione deve chiedersi quale società vogliamo realizzare, nella consapevolezza che maggiore qualità sociale non corrisponde a perpetuare le élite bensì alla diffusione di saperi e competenze.