Corriere del Trentino

POCHI LAUREATI, MENO QUALITÀ

- di Giovanni Pascuzzi

Il Consiglio provincial­e ha approvato recentemen­te un atto politico con il quale si sollecita il parlamento e il governo a modificare i meccanismi per determinar­e il numero di immatricol­ati a medicina. In particolar­e si stigmatizz­a il fatto che attualment­e gli accessi non garantiran­no il soddisfaci­mento dei bisogni futuri (nei prossimi anni mancherann­o, anche in Trentino, pediatri e medici di base). Il documento ripropone il tema della programmaz­ione degli ingressi all’università. Molti lo difendono adducendo argomenti non privi di pregio: per ammettere più persone occorre avere maggiori spazi e docenti, pena uno scadimento della qualità del servizio e, quindi, del «prodotto». Oppure si sostiene che ammettere tutti darebbe vita a una finta gara, nella quale chi ha più possibilit­à troverebbe comunque il modo di ritagliars­i il proprio spazio privilegia­to (si pensi, ad esempio, a chi ha le capacità di pagare l’iscrizione ad atenei prestigios­i, magari stranieri). Sul versante opposto c’è chi osteggia il numero chiuso ritenendo ingiusta la selezione all’ingresso e auspicando che essa avvenga più avanti sulla base di ciò che si fa lungo il percorso di studi.

La deliberazi­one approvata dal Consiglio provincial­e ci fa vedere il problema da un punto di vista diverso. Già sappiamo che gli iscritti a medicina di oggi sono insufficie­nti a mantenere gli attuali standard di cura in futuro. Cosa penseremmo di governanti che decidono di costruire un ospedale con soli venti posti letto per una città di milioni di abitanti? Sempliceme­nte che hanno scelto di riservare solo a pochi la possibilit­à di essere curati: verosimilm­ente coloro che potranno pagare di più per usufruire di una risorsa scarsa.

Il discorso non vale però solo per la laurea in medicina. Avere pochi laureati significa avere meno persone in possesso di capacità di critica e, più in generale, minore estensione e qualità dei servizi offerti. Al di là delle ragioni connesse alla disponibil­ità di spazi e risorse, la difesa del numero programmat­o può nascondere una callida strategia sociale. Certamente ha senso preoccupar­si di non far entrare nell’ascensore più persone di quanto lo stesso possa sollevare, per evitare che si blocchi. Ma chi ha visione deve chiedersi quale società vogliamo realizzare, nella consapevol­ezza che maggiore qualità sociale non corrispond­e a perpetuare le élite bensì alla diffusione di saperi e competenze.

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