Carcerati, il 73% stranieri «Occorrono mediatori»
Chi legge i dati, confrontandoli TRENTO con le medie nazionali, si dà due spiegazioni. La prima: terra di confine, di transito al di qua e al di là del Brennero, il Trentino Alto Adige è luogo di passaggio, di grandi numeri e vigilanza accorta. La seconda: l’istituto detentivo di Spini, in quanto casa circondariale che ospita persone in attesa di giudizio o con pene inferiori ai cinque anni, intercetta le fattispecie che statisticamente coinvolgono maggiormente cittadini non italiani. Al di là delle ragioni, restano i numeri: i detenuti stranieri, a Trento, rappresentano il 73% del totale (la media italiana è del 34%). Percentuali disgiunte dalla frequenza dei reati consumati sul territorio, «ma che meritano una riflessione, culturale e giuridica, sul trattamento penitenziario», spiega l’avvocata Veronica Manca.
È da simili premesse che nasce il ciclo di seminari dal titolo «Stranieri e carcere: oltre gli stereotipi della criminalità, irregolarità e marginalità sociale», organizzato da associazione Atas e Cinformi, in collaborazione con Antigone, Camera penale «M. Pompermaier» e Ordine degli avvocati di Trento. Quattro appuntamenti — 9 e 16 aprile, 21 e 28 maggio — che coinvolgono tutti gli attori interessati al tema: magistratura di sorveglianza, avvocati, polizia penitenziaria, educatori, garante dei diritti dei detenuti, ma anche docenti e ricercatori. Obiettivo: oltrepassare i cliché e trovare soluzioni pratiche, pragmatiche.
«Nella casa circondariale di Trento sono 211 gli stranieri presenti su 306 detenuti, circa il 73%: una percentuale di molto elevata rispetto alla media nazionale, se solo si pensa che rispetto al totale dei presenti (58.163), 19.765 unità – di cui solo 888 donne – sono rappresentate da detenuti stranieri, con una percentuale, quindi, pari al 34% rispetto alla totalità», spiega Veronica Manca, organizzatrice con Michele Larentis del ciclo d’incontri. «Significativo — prosegue — il dato per cui, oltre la metà dei reclusi, 7.871, siano imputati in attesa di giudizio, mentre gli altri 11.840 siano detenuti definitivi».
Analizzando i dati del ministero della giustizia, aggiornati al 28 febbraio, le diverse nazionalità dei detenuti in Trentino Alto Adige (290, compresa la casa circondariale di Bolzano) sono ben 44. Ma l’incidenza più alta si restringe entro pochi Paesi di provenienza: Tunisia (75); Marocco (51); Romania (25); Albania (23); Nigeria (20). Quanto alle fattispecie, in base alle rilevazioni di Antigone su base nazionale, le tipologie più ricorrenti fra detenuti stranieri sono, nell’ordine, reati contro il patrimonio (30.900); contro la persona (21.800); violazioni della legge sulla droga (18.700).
Ma perché in Trentino la popolazione carceraria stra- niera è più cospicua? «Le ragioni sono molteplici — spiega Manca — La nostra è una zona di passaggio, inoltre va considerata la peculiarità stessa della casa circondariale, idonea per pene detentive brevi». Un altro fattore che incide nella «sovra-rappresentazione» degli stranieri detenuti — definizione utilizzata da Antigone nel suo report «Torna il carcere» — è la difficoltà ad accedere a misure alternative per chi non ha un domicilio.
Definito il quadro, i seminari cercheranno di trovare soluzioni operative: «Il problema linguistico è imprescindibile — spiega Manca — La riforma dell’ordinamento penitenziario, che ci auguriamo possa compiersi, aveva previsto l’introduzione obbligatoria del mediatore». Non solo: le tre commissioni di studio incaricate di definire l’architrave della riforma, oltre a rinverdire i principi della legge penitenziaria del 1975 hanno previsto nuove modalità di comunicazione, a cominciare dai colloqui via Skype. Soluzioni utili a tutti, ma in particolare per chi ha familiari lontani.
Tra gli esperti, nominati lo scorso luglio da Andrea Orlando, c’è anche Andrea de Bertolini che sarà protagonista del primo seminario in agenda il 9 aprile alla Fondazione Caritro. «Il carcere — premette il presidente dell’Ordine degli avvocati di Trento — si sta connotando sempre più significativamente come un contenitore di marginalità, in cui i cittadini stranieri, che assorbono molteplici vulnerabilità, sono i primi e i più facili destinatari del contenimento».
Le difficoltà linguistiche, sociali ed educative (la scolarizzazione dei detenuti è spesso bassa) impongono nuove prassi per non svilire l’apporto risocializzante della detenzione. Tra i rischi di una contenzione segnata dall’incomunicabilità con l’esterno c’è la chiusura «e il sedimentarsi di convincimenti che alimentano il radicalismo», spiega de Bertolini.
Cosa fare, allora? «Il quadro globale mostra l’urgenza di rivedere l’ordinamento del sistema penitenziario — precisa il presidente dell’Ordine — Non si tratta di essere più o meno buoni, ma di tutelare diritti per la salute intera della società». Oltre all’introduzione strutturale del mediatore, la riforma che nei mesi scorsi stava prendendo corpo aveva previsto una soluzione per favorire l’accesso alle misure alternative. «In accordo con gli enti locali si possono individuare residenze dove far scontare le pene, nell’ambito di programmi risocializzanti». Nuove soluzioni, giuridiche e culturali insieme.
Confronto Un ciclo di seminari sul tema. De Bertolini: «Con gli enti locali accordi per residenze»