Corriere del Trentino

Benbani: «Ai colloqui porto fazzoletti»

- Ma. Da.

È laureato in Lingue. TRENTO Parla fluentemen­te arabo, berbero, francese, inglese e italiano. Ma presto al suo curriculum studiorum aggiungerà un altro titolo, in Giurisprud­enza. «Mancano quattro esami», spiega Slimane Benbani che, al diritto, si è avvicinato per amplificar­e le sue competenze. Originario del Marocco, è agente della polizia municipale di Lavis, ma dal 1999 è anche traduttore per il tribunale di Trento. Un compito che, da due decenni, porta a termine amalgamand­o doti tecniche, da una parte, e relazional­i dall’altra. «In carcere — racconta — mi presento già con dei fazzoletti in tasca, chi ascolto ha bisogno di sfogarsi».

Benbani, lunedì prossimo porterà la sua esperienza al primo seminario organizzat­o da Cinformi e Atas su carcere, pluralismo e diritto. Quando ha iniziato con la sua attività di interprete?

«Sono passati diciannove anni, ormai, dal primo decreto di nomina del tribunale di Trento e oggi lavoro fra Bolzano e Trento. In questi anni, complici i nuovi flussi migratori, l’approccio è in parte cambiato. Spesso mi trovo davanti persone che hanno subito traumi, che hanno alle spalle sofferenze, che sono rifugiati. Oltre alla comunicazi­one in sé cerco di mantenere umanità».

Quindi cerca di aprire un varco non solo linguistic­o ma anche relazional­e?

«Le competenze linguistic­he sono chiarament­e necessarie per ogni interprete, poi come ogni categoria profession­ale che si occupa di intermedia­zione subentra il carattere del singolo. L’esperienza mi ha insegnato come agire. Prima di iniziare mi informo, chiedo se hanno precedenti in patria, porto anche dei fazzoletti nelle visite in carcere perché non tutti sono abituati alla detenzione e hanno bisogno di sfogarsi. Magari nel loro Paese d’origine non erano criminali o, in altri casi, non sanno come funziona la vita in carcere, in Italia».

Considerat­a l’incidenza della popolazion­e carceraria straniera, quali crede siano i principali bisogni per migliorare l’ordinament­o penitenzia­rio? E quali sono le criticità che magari raccoglie?

«La prima cosa da fare è insegnare, istruire, dare la possibilit­à a queste persone di conoscere la lingua. Da qui inizia davvero tutto».

Il traduttore «Molti non sono abituati alla detenzione e hanno bisogno di sfogarsi» Recupero «La prima cosa da fare è insegnare, istruire, dare loro la possibilit­à di conoscere le lingue»

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