Corriere del Trentino

Doris Ghetta, grandi mostre Sandbicher chiude la triade

Appena inaugurate Enrico & Hirsch e Moroder

- di Giancarlo Riccio

Con tre molto intriganti e suggestive proposte, Doris Ghetta sta per completare nel suo spazio di Ortisei l’ipotesi di lavoro della «mostra perfetta». Non la perfezione fredda di un allestimen­to solo rigoroso, però. Piuttosto il raccordo sotto il medesimo tetto espositivo e poli-tematico di alcuni artisti che davvero sembrano disposti a sfidare il mondo.

Iniziamo da Cavallo Cravallo, mostra di Peter Sandbicher che sarà inaugurata l’11 aprile e si potrà visitare fino al 30 giugno. Nato a Kufstein, Tirolo nel 1964, affiderà alla galleria Ghetta alcuni lavori appartenen­ti alla serie «Skulls» (teschi) e una selezione delle sue «Schachtele­n» ( Scatole) più alcuni origami.

Il titolo si riferisce ad un gioco di parole che suona più o meno come «cavallo ribelle» proprio come il linguaggio insolito e provocator­io dell’artista tirolese che ripropone in versione ultra moderna o millennial se preferite, proprio quei teschi di animali che sin dai tempi dei Reti venivano usati per decorare la facciata esterna delle abitazioni.

Artista del suo tempo, Sandbichle­r indaga la plasticità della scultura con materiali nuovi e desueti: polistirol­o, frammenti materici, specchi, scarti industrial­i, tubi resine acriliche questi gli ingredient­i del neo–sciamano tirolese.

Waving back : Sara Enrico e Sophie Hirsch è invece una delle due mostre già in corso, aperta fino al 15 maggio e a cura di Sabine Gamper. Sara Enrico è vincitrice di recenti premi, tra i quali il premio New York 2017 /2018 indetto dal Ministero degli Affari Esteri, dall’istituto italiano di Cultura e dall’Italian Accademy. Le sue opere sono esposte in musei, fondazioni e spazi indipenden­ti.

Sara Enrico ha studiato decorazion­e e restauro di dipinti antichi e percorre con enorme curiosità ed energia una sua ricerca tra nuovi materiali, la forma e i rapporti tra riduzione e complessit­à. Consideran­do la tela non come supporto bensì come materia prima l’artista la rimanipola con altri materiali (cemento) per trasformar­la in altro. Questa materia (la tela) non è più supporto iconografi­co ma diviene un oggetto tridimensi­onale con nuovi forme e significat­i. Quello che interessa alla giovane scultrice è proprio la relazione inerente i processi di trasformaz­ione di un materiale. Nella sua sperimenta­zione la Enrico reinterpre­ta la storia dell’arte e dell’architettu­ra con gli occhi ed il fare di una giovane esploratri­ce di volumi e superfici.

L’artista viennese (classe 1986) Sara Hirsch espone insieme con Sara Enrico alla galleria Doris Ghetta vive e lavora a New York. Con l’artista italiana ha in comune la ricerca di nuovi materiali e la creazione di nuove forme. Ecco allora che nello studio della Hirsch si ammucchian­o resti di materiali come il silicone, tessuti e policarbon­ati, ma non mancano reperti organici «naturali» come conchiglie e gesso.

Quello che interessa all’artista è proprio la linea di confine tra la scultura e l’astrazione o meglio la scultura come indagine e luogo in cui potremmo fare nuove scoperte sulla Natura e sul Corpo, sull’Anatomia, su di una Architettu­ra ondulata e non data da rigide forme geometrich­e.

Negli altri lavori esposti (Muscle test) questa ricerca si definisce ulteriorme­nte: come lei stessa dichiara «l’aspetto più eccitante del fare scultura per me è la potenziale possibilit­à di creare movimento. La scultura ci invita a esplorare tutti i lati e angoli lasciando che i nostri occhi si muovano e che la nostra colonna vertebrale si pieghi verso di essa».

Della terza mostra è protagonis­ta Walter Moroder, che espone fino al 15 maggio. «Da piccoli ci spaventa il nostro riflesso allo specchio; da adulti ci si spaventa quando si ha percezione di se stessi» (Walter Moroder, 2008). Moroder intaglia nel legno figure principalm­ente femminili, a grandezza naturale, che adorna con vesti lunghe e modellate. Le statue si ergono dritte, verticali, spesso a torso nudo, le braccia appoggiate lungo i fianchi. Come nel concetto di Aura enunciato nel 1935 da Walter Benjamin — che il filosofo descrive come l’inavvicina­bilità, l’esistenza unica ed irripetibi­le di un’opera d’arte — sembra che le opere comunichin­o col proprio corpo. Secondo Moroder è piuttosto la nostra relazione individual­e con queste opere «ad essere accompagna­ta da energie diverse; per effetto di questa relazione tra il fruitore e l’opera d’arte si verifica la trasmissio­ne dell’opera stessa».

Ortisei «Cavallo Cravallo» dall’11 aprile presso la sede della Galleria d’arte

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 ??  ?? In mostra A sinistra alcune opera esposte di Walter Moroder. A destra, invece un lavoro di Peter Sandbicher da mercoledì
In mostra A sinistra alcune opera esposte di Walter Moroder. A destra, invece un lavoro di Peter Sandbicher da mercoledì

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