Attilio Manca Il libro verità
La storia del finto suicidio e Cosa nostra L’autore a Bolzano il 9 aprile al centro Trevi
Il lavoro di Baldo emerso dopo gli articoli per Antimafia Duemila Il vicedirettore: «Ho deciso di scriverlo dopo le varie inchieste affrontate Se Provenzano avesse parlato, avrebbe parlato di questa vicenda»
Il 12 marzo 2004, in un appartamento al pianterreno di una bassa palazzina di via Monteverdi 10 a Viterbo, venne ritrovato il corpo senza vita del dottor Attilio Manca. Sul braccio sinistro del trentaquattrenne urologo siciliano erano presenti due piccoli fori: «segni inequivocabili di due iniezioni recenti». Dopo apposite analisi, la morte venne rubricata come «decesso causato da overdose di eroina mista a tranquillanti e ad alcool». Ovviamente, qualunque medico conosce benissimo gli effetti di un mix di quel tipo.
Questa, però, è una storia con alcuni importanti «se» e molti «ma». Tra i secondi, due sono fondamentali: i «segni inequivocabili» erano sul braccio sinistro, ma Attilio Manca era mancino; le siringhe con cui Manca si sarebbe iniettato l’eroina sono state rinvenute nell’appartamento di via Monteverdi, ma erano prive di impronte digitali.
I «se», invece, riguardano principalmente il medico italiano che partecipò all’operazione alla prostata effettuata nella clinica francese Casamance di Aubagne nell’ultima settimana di ottobre del 2003. Un’operazione particolare per la tecnica utilizzata, la laparoscopia, e per il nome del paziente che la subì. Nei registri ospedalieri ne risulta uno che dice poco o niente, Gaspare Troia, quello vero, registrato all’anagrafe di Corleone, molto di più: Bernardo Provenzano. Se tra i medici che avessero operato Provendi zano ci fosse stato Attilio Manca?
A sostegno di questa tesi ci sono alcune dichiarazioni dei pentiti, un’inchiesta giornalistica e altri fatti elencati con precisione da Lorenzo Baldo nel suo Suicidate Attilio
Manca, che verrà presentato lunedì alle 18 al Centro Trevi di Bolzano alla presenza dell’autore in un incontro organizzato dalla Biblioteca Claudia Augusta. Baldo, giornalista di Antimafia Duemila, ha deciso di scrivere il libro dopo essersene occupato in numerosi articoli, ma la genesi del libro ce la racconta lui stesso: «Ho un’immagine fissa in testa, la madre di Attilio Manca che, un paio di anni dopo la morte del figlio, distribuisce le fotocopie degli articoli di giornale che mettevano in discussione la tesi del suicidio. Così mi sono occupato della vicenda scrivendoci spesso per Antimafia Duemila, fino a quan- do l’editore Imprimatur non mi ha chiesto di scriverci un libro. Mi ci sono buttato a capofitto, ho vissuto per una settimana a casa della famiglia Manca, ho dormito nella stanza di Attilio e ho parlato con chi lo conosceva bene. Si faceva voler bene da tutti ed era un giovane luminare nella sua professione come dimostrano diversi articoli precedenti la sua morte».
Il libro di Baldo si conclude con un lunghissimo elenco di «Io so ma non ho le prove» in cui l’autore, riprendendo Pasolini, elenca le tessere di un puzzle che evidenziano una realtà molto diversa da quella ufficiale: «Io so che Attilio non si è suicidato perché amava la vita e non era un tossicodipendente. Io so che è stato ucciso, ma non ho le prove. Io so che la sera dell’11 febbraio 2004 qualcuno è entrato in casa sua e forzatamente lo ha drogato. Ma non ho le prove. Io so che la porta casa non era stata chiusa a chiave e questo dimostra che qualcuno è entrato e uscito dal suo appartamento. Ma non ho le prove. Io so che le foto tremende del suo cadavere parlano più di mille referti autoptici eseguiti male».
Seguono dichiarazioni di pentiti, piste investigative ignorate, incongruenze e intrecci che legano mafia, politica e massoneria alla morte di Manca.
«So anche che se Provenzano avesse parlato, avrebbe raccontato di Attilio Manca — prosegue Baldo — . Ma non ho le prove. So, invece, che Attilio era un ragazzo intelligente con un grande futuro davanti a sé, che amava la vita e aveva mille interessi. Era una persona di grande cultura, conoscendo la sua storia, ho compreso che non si è suicidato, era una persona lucidissima e non si può proprio sostenere che fosse un tossico, seppure anomalo. D’altra parte, il referto del test tossicologico che lo dimostrerebbe non è mai stato trovato».
Oggi, per mantenere viva la speranza di scoprire la verità sul caso, esiste un’ultima possibilità, che la procura di Roma non archivi l’inchiesta sulla morte di Attilio Manca. Sul sito di Antimafia Duemila è possibile firmare un appello a cui hanno già aderito oltre trentamila persone: «Hanno firmato importanti esponenti politici di tutti gli schieramenti tra cui Luigi Di Maio. C’è un paese intero che chiede la verità: il caso non può essere archiviato». La decisione è prevista per il 12 luglio.