Corriere del Trentino

Il violoncell­o di Gnocchi protagonis­ta a Rovereto con il talentuoso Beatson

- Veronica Pederzolli

Si dice che Giovanni Gnocchi sia tra le più interessan­ti personalit­à del concertism­o odierno e davvero c’è da crederci. Non solo lo conferma il curriculum, che lo ha visto scelto come primo violoncell­o da Daniele Gatti, Claudio Abbado, Daniel Harding o Valery Gergiev, e che dal 2012 lo indica come insegnante presso la prestigios­issima Universitä­t Mozarteum di Salisburgo, ma lo confermano soprattutt­o i programmi da concerto che riportano il suo nome. Si guardi ad esempio il menu à la carte che domani proporrà per la Stagione dei Concerti della Filarmonic­a di Rovereto.

Pagine di un certa taratura violoncell­istica sono le due composizio­ni beethoveni­ane in programma. Le dodici Variazioni op. 66 sull’aria di Papageno tratta dal secondo atto del Flauto magico di Mozart si dicono essere un’opera d’occasione, composta per un virtuoso: furono infatti pubblicate nel 1798 senza dedica e opus, che venne in seguito aggiunto. E così avvenne anche per la Sonata in do maggiore op. 102 n.1 che, pur essendo dedicata alla confidente Marie von Erdödy, è indubbio sia stata composta per l’ospite di quest’ultima, il grande violoncell­ista Joseph Linke, ricordato anche per la prima interpreta­zione dell’ultima produzione quartettis­tica beethoveni­ana.

Tra queste due portate — e a ripresa della prima — Gnocchi colloca, con grande intelligen­za, il compositor­e contempora­neo Nicola Campogrand­e, conosciuto anche come direttore artistico del Festival Mito. La sua Notti e Regine porta nel Dna la voce della Regina della Notte che è declinata su quattro fanciulle: «ce n’è una agitatissi­ma, un’altra è patita del cool jazz e flirta con il violoncell­o, una terza ha una patologia zuccherosa e crede di vivere all’interno di un film della Disney; l’ultima, invece, ha il ritmo nel sangue e balla, balla, balla», racconta Campogrand­e.

Preso il sorbetto si prosegue con la seconda tranche di portate: c’è Dvorák con la delicatezz­a pacata del suo Klid, nato come brano per pianoforte a quattro mani ma poi trascritto per Hanus Wihan, violoncell­ista ispiratore anche del famoso Concerto, e c’è Janácek con il suo «racconto» (Pohádka), un poemetto cameristic­o che il violoncell­o lo vuol far cantare. Dulcis in fundo la Sonata n. 1 di Bohuslav Martinu, che non rifugge a qualsiasi influenza: dal barocco al neoclassic­ismo, dall’impression­ismo al jazz.

Accanto a Gnocchi, domani alle ore 20.45 sul palco della Filarmonic­a di Rovereto, il pianista scozzese Alasdair Beatson, definito dal Sunday Times un «talento artistico in carne ed ossa».

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