Marco Martinuzzi, l’eredità veneziana dentro il capoluogo
Architetto raffinato, progettò interventi di rilevanza urbanistica Dalla Palazzina Liberty a Passaggio Dorigoni e Galleria Garbari Svelato il «mistero» della scritta di Villa Rizzi a Sardagna
Che cosa unisce la cosiddetta Palazzina Liberty di piazza Dante a Trento — la cui denominazione originaria era «Albergo Diurno» – e la centrale idroelettrica di Fies? Benché assai diversi per dimensioni, funzione e stile, entrambi gli edifici furono progettati da Marco Martinuzzi, un architetto veneziano che fu attivo in Trentino nella prima metà del Novecento. Poco si conosce della sua vita e anche la sua opera di progettista attende una ricerca approfondita, dopo i pionieristici studi di Massimo Martignoni e Sergio Giovanazzi.
Nato a Murano il 13 settembre 1877 e diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, si trasferì presto a Trento, dove visse per il resto della sua vita. Nel 1907 progettò il padiglione della Società Concorso Forestieri: un edificio effimero, ideato per incrementare il nascente turismo e negli stessi anni definì la veste architettonica della centrale di Fies a Dro, affiancandosi all’ingegnere Domenico Fogaroli. Al 1910 risale uno dei suoi interventi più interessanti, anche dal punto di vista urbanistico, ossia il Passaggio Dorigoni, che diede un volto neorinascimentale al raccordo tra via del Suffragio e via Torre Verde: di fatto, una nuova monumentale porta di accesso al centro storico. Nel marzo del 1914, su commissione della Società Acque Minerali di Sant’Orsola, firma il progetto per un edificio termale da erigersi a Pergine, mai realizzato a causa dello scoppio della prima guerra mondiale.
Come molti irredentisti, durante la guerra Martinuzzi subì la deportazione a Katzenau. A testimonianza di questa drammatica esperienza rimane un accurato disegno a china, datato 1915, che raffigura l’interno della baracca da lui abitata nel campo di internamento austriaco. In calce al foglio, conservato presso il Museo storico di Trento, si legge la dedica: «Dall’esilio… col pensiero ai miei cari. Marco».
Nel primo dopoguerra Martinuzzi, in aperto contrasto con i giovani architetti del Circolo Artistico Trentino, continuò a propugnare un’architettura eclettica e firmò altri notevoli interventi in città. Nel 1920 progettò per i giardini di piazza Dante l’Albergo Diurno, poi Caffè Savoia, recentemente restaurato dall’amministrazione comunale e adibito a sede distaccata della biblioteca.
Quattro anni dopo venne inaugurata la Galleria Garbari, spazio commerciale e di autorappresentazione della borghesia cittadina: anche in questo caso l’architetto veneziano concepì un elegante raccordo di valenza urbanistica, stilisticamente ben inserito nel tessuto del centro storico. Suo è pure il progetto della Banca Cooperativa in piazza Vittoria, oggi sede della Banca d’Italia, ricco di riferimenti al repertorio decorativo manierista.
Fuori Trento si ricorda il semplice campanile di Mama d’Avio, eretto su suo disegno nel 1924. Negli anni Trenta, con l’avvento del razionalismo e del monumentalismo, i suoi orientamenti progettuali apparvero rapidamente superati e fuori moda.
Martinuzzi morì a Trento il 30 novembre 1949. Il laconico necrologio pubblicato sulla rivista Studi Trentini di Scienze Storiche dall’architetto Ezio Miorelli fornisce una lista incompleta degli edifici da lui realizzati, tra cui figura la Villa Zabini, che sorgeva tra via Barbacovi e via San Bernardino. Era un edificio residenziale a due piani, dotato di monofore, trifore, balconcini e comignoli ispirati alle forme del Rinascimento italiano. L’ingresso era costituito da una doppia loggia sorretta da colonne corinzie, cui si accedeva attraverso una scalinata fiancheggiata da balaustre. Nel sottogronda correva un fregio dipinto con motivi a girali, tabelle e festoni. Il prestigio del progettista non valse a salvaguardare l’edificio dalla speculazione edilizia: nel 1966, nell’indifferenza generale, la villa venne demolita per far posto a un condominio.
Si è invece salvata la Villa Rizzi di Sardagna, oggi sede della Comunità Murialdo: nata come edificio residenziale, è un bell’esempio di storicismo, che si segnala per l’impiego di inserti lapidei a facciavista e di ornati in ferro battuto. La torretta è dotata di trifora, balcone ligneo e terrazzino. Un piccolo enigma è costituito dalla scritta incisa sull’architrave della porta di accesso: «AI FA PA NEN». Si tratta di un modo di dire piemontese, traducibile con «non importa un bel nulla» o «me ne infischio», di cui parla Massimo d’Azeglio nelle sue memorie.
Durante la grande guerra fu internato a Katzenau