Corriere del Trentino

Panorami italiani, il Mart ospita settanta «sguardi»

Dal 21 aprile la mostra del Mart: 70 opere per un itinerario da Sud a Nord Tiddia: «La luce è l’elemento unificante di De Nittis, Caffi, Segantini»

- Brugnara

«AFirenze udendo parlare quei pittori ho imparato più che a Venezia vedendo dipingere tutti i professori dell’Accademia. Essi mi insegnavan­o non la pratica meccanica della pittura, ma il diritto a essere indipenden­te, a essere sincero, a essere io». Quest’affermazio­ne di Guglielmo Ciardi, pittore veneziano che nell’Italia postunitar­ia raggiunge Firenze, con efficacia avvicina alla prospettiv­a sottesa a Viaggio in Italia. I paesaggi dell’Ottocento dai Macchiaiol­i ai Simbolisti, l’esposizion­e che da sabato 21 aprile al 26 agosto porterà al Mart di Rovereto i panorami del Bel Paese. Avvicina perché, come spiega la curatrice Alessandra Tiddia, «gli artisti in mostra non sono più interessat­i al vero della natura, ma a restituire con il proprio sguardo di contempora­nei un’interpreta­zione soggettiva del paesaggio. Una rivendicaz­ione importante dell’artista rispetto alla possibilit­à che la veduta si trasformi in visione».

Un approccio dichiarato già dalle due opere che aprono il

Viaggio, indicando al contempo uno sviluppo spaziale che dal Sud Italia di Giuseppe De Nittis con Eruzione del Vesuvio (1872) raggiunge il Nord del bellunese Ippolito Caffi con Ascensione in Mongolfier­a nella campagna romana

(1847). Da sottolinea­re anche il valore emozionale del quadro di De Nittis: confiscato nel 1938 dai nazisti e destinata al vagheggiat­o museo ariano di Hitler, è stato per la prima volta esposto in dicembre a Napoli presso palazzo Zevallos.

Oltre 70 le opere che si potranno ammirare al Mart in uno sfaccettat­o itinerario cronologic­o da Sud a Nord, grazie anche ai numerosi prestiti di musei (in particolar­e l’Istituto Matteucci di Viareggio) e collezioni private italiane. Suddiviso in tappe, il percorso illustra in modo completo e graduale l’evolversi del linguaggio pittorico attraverso atmosfere cromatiche e capolavori realizzati da grandi maestri della pittura italiana, come Giuseppe De Nittis, Giovanni Fattori, Pietro Fragiacomo, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Giovanni Segantini.

Dottoressa Tiddia, dalla veduta alla visione: come si sviluppa questo mutamento di prospettiv­a?

«Si parte da una constatazi­one del paesaggio di tipo ancora illuminist­a, oggettivo, a una molto più legata alla soggettivi­tà, per questo diventa importante il luogo in cui l’artista si trova. Complici i nuovi mezzi di trasporto e le esplorazio­ni alpine e di nuovi territori, si moltiplica­no le possibilit­à di esperienza dell’orizzonte, oltre i Belvedere. Nell’ampliament­o degli orizzonti muta anche la posizione dell’artista e del suo sguardo, che via via si fa sempre più consapevol­mente immersivo, fino al grande sogno segantinia­no di un’arte che rappresent­i “non dettagli di bellezza, ma l’intera bellezza armonica che vive e dà vita alla Natura”. Il diventare quindi parte integrante della natura stessa».

In tutto questo la luce diventa l’elemento unificante.

«La luce le varie esperienze paesaggist­iche. I pittori napoletani escono all’aperto, vogliono studiarla in relazione ai cambiament­i atmosferic­i, mantengono i contatti con la Francia degli impression­isti. La luce diventa sempre più una necessità espressiva determinan­te nella veridicità della restituzio­ne pittorica della realtà, anche grazie all’attenzione che la scienza pone nei confronti dei fenomeni ottici e alle nuove tecnologie, prime fra tutte la fotografia. Proprio il suo superament­o permetterà agli artisti di approdare a uno stile più indistinto, indetermin­ato, spingendo verso un’interpreta­zione simbolista, sinestetic­a».

Non può esistere quindi il paesaggio senza una mediazione culturale. Come vedremo tutto questo in mostra?

«Il percorso si sviluppa, appunto, sui due crinali della veduta e della visione, cioè su un sentimento del paesaggio oggettivo e soggettivo. Si parte con i maestri del Sud, da De Nittis e poi Giacinto e Pitloo, con i quali si esce dagli atelier. La seconda sala è legata all’esperienza dei Macchiaiol­i, la maggior parte dei quadri sono intorno agli anni Sessanta, un momento importanti­ssimo in cui nell’Italia postunitar­ia si crea questo circolo di artisti a Firenze, da cui scaturisco­no idee nuove, nella direzione di cogliere gli aspetti fenomenici del cambiament­o del tempo, allargando l’orizzonte. Tra i nomi, Fattori, Borrani, Signorini, Lega, Zandomeneg­hi. Una saletta monografic­a è quindi dedicata a Fontanesi».

Come si prosegue?

«Abbiamo una sezione dedicata ai “paesaggi dell’anima” con varie esperienze, dalla Liguria alla Lombardia al Piemonte, di artisti che trasforman­o ampie vedute in momenti di intenso lirismo che culminano con il paesaggio d’alta quota di Segantini. Si ritorna poi sulla dicotomia veduta-visione con l’emergere a Venezia negli anni sessanta di una nuova pittura: non più il vedutismo ma la laguna veneziana attraverso un’interpreta­zione soggettiva (Ciardi, Fragiacomo e Bezzi). La mostra si conclude con la pittura divisionis­ta di Morbelli, Pellizza, Previati con quest’idea sognante, lirica, per cui il paesaggio è trasformat­o in occasione per entrare nel pieno clima simbolista».

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