«Il paesaggio è molto fragile Va tutelato»
Sat, il bilancio di Bassetti: «La politica torni a occuparsi del clima»
«La scommessa futura è culturale: bisogna far recuperare la consapevolezza che il paesaggio montano è fragile e va tutelato». A pochi giorni dalla fine del suo mandato alla guida della Sat, Claudio Bassetti traccia un bilancio «positivo» della sua esperienza. E traccia i prossimi impegni: «Il cambiamento climatico è sparito dalle agende politiche. Ma è un errore».
Il caso Il concerto di Sinclar sullo Spinale è stato un errore: non si può andare ovunque
TRENTO Il suo saluto, prima ancora che all’assemblea che segnerà la fine della sua presidenza (in programma il 21 aprile a Rovereto), Claudio Bassetti l’ha affidato all’ultimo numero del bollettino della Sat. Un modo per raggiungere tutti (o quasi) i 27.000 soci della Società degli alpinisti tridentini. E per offrire una chiave di lettura sulle sfide future, partendo dalla sua esperienza alla guida del sodalizio. «Non si diventa presidenti per caso» ammette nel suo scritto Bassetti. Che poi affronta i temi cardine dell’agenda non solo di montagna: dai cambiamenti climatici alle trasformazioni sociali, passando per il confronto, necessario, con altri mondi. «Non è più tempo — avverte il presidente uscente — di orgoglioso isolamento, di autoreferenzialità. In una realtà complessa bisogna fare rete, mettere a disposizione competenze, cercare competenze, costruire conoscenza». Consapevoli, mette in chiaro Bassetti, che il futuro si gioca soprattutto investendo sulla cultura e sulla formazione. Dei giovani, ma anche degli adulti.
Presidente Bassetti, tra dieci giorni finirà il suo ultimo mandato alla guida della Sat. Nel saluto pubblicato sull’ultimo numero del bollettino ricorda un aneddoto curioso sulla sua elezione a presidente.
«Sì. A margine di uno dei consigli degli anni Novanta, Cesare Salvaterra, dal quale mi dividevano alcune visioni, mi disse: un giorno diverrai presidente della Sat. La presi come una battuta. Oggi la ricordo con un pensiero a Cesare, che purtroppo non c’è più, ma anche a tutti i soci che ho incontrato e accompagnato nell’ultimo tragitto. La ricordo perché valse per me come un attestato di altissimo valore, attribuitomi da una persona speciale».
Al termine di questa «avventura», qual è il bilancio di questi anni?
«La valutazione la devono dare gli altri, ovviamente. Ma personalmente giudico quest’esperienza estremamente positiva: sono arrivato, da singolo socio, in un posto prestigioso e mi sono messo al lavoro. Credo di aver dato un contributo positivo».
Nel suo intervento insiste molto sulla necessità di costruire reti e collaborazioni. Anche questo è un impegno che in questi anni ha portato avanti.
«Con il consiglio eravamo consapevoli di un aspetto cruciale: da soli, oggi, non si va da nessuna parte. Per questo era necessario cambiare passo, costruire una rete di collaborazioni con mondi diversi. E diventare allo stesso tempo sempre più protagonisti della società trentina, della quale siamo interpreti importanti. Non dimentichiamo che il 5% della popolazione trentina è socio della Sat. In nessun’altra parte d’Italia si raggiungono queste percentuali. Nemmeno in Val d’Aosta o in Friuli. Questo protagonismo ha voluto dire, negli anni, fornire contributi che ci venivano chiesti su vari temi. E le reti costruite hanno dato vita a corsi, convegni. Allo Spazio alpino nella sede centrale».
Un impegno che dovrà continuare anche in futuro?
«Certo. Questo è un percorso che deve essere portato avanti. Ed esteso. Del resto, non ci si può occupare solo dell’andare in montagna, ma è necessario avere una conoscenza delle dinamiche in atto, che cambiano tra l’altro anche lo stesso modo di stare in quota».
Proprio su questo la Sat, negli anni scorsi, si è fatta sentire. Gli interventi sul rapporto tra montagna e bici o sullo sci hanno richiamato con forza la politica. E hanno fatto discutere.
«Ricordo che la tutela ambientale è uno degli elementi dello statuto della Sat e su questo binario ci siamo sempre mossi. È vero, abbiamo pubblicato dei documenti molto forti, con all’interno analisi serie, per cercare di dare al decisore degli elementi concreti. Sulla questione delle bici, avvertivamo la necessità di modificare le normative esistenti. Mentre per quanto riguarda la questione del rapporto tra montagna e sci, abbiamo deciso di mettere attorno al tavolo tutti i portatori di interesse, per confrontarci con tutti senza timori o pregiudizi. Questo è stato il nostro modo per marcare la differenza. È evidente, poi, che sull’innevamento artificiale e sui caroselli sciistici siamo stati attenti a pronunciare alcuni “no” e a dare indicazioni. Anche se non sempre siamo stati ascoltati».
Del resto, non sono argomenti facili.
«Va anche rimarcata una caduta preoccupante di consapevolezza. Mi spiego meglio: qualche anno fa la consapevolezza che il territorio montano dovesse essere attentamente tutelato aveva ripreso vigore. Ma ultimamente ha registrato un punto di cedimento. Si è tornati a una sorta di “sviluppismo” degli anni precedenti, all’idea che si può fare tutto ovunque. Anche in ambiti delicati e tutelati come la montagna».
L’ultimo caso è quello del contestato concerto di Bob Sinclar sullo Spinale. Cosa ne pensa?
«Il concerto è stato indubbiamente un successo di pubblico, ma il contesto era sbagliato. Senza dubbio. C’è un carico di inquinamento acustico che una zona delicata come quella non può sopportare. Ecco, questo episodio dimostra come ormai si viva tutto come una sfida: con la tecnologia vogliamo dimostrare di poter andare ovunque, di poter fare qualsiasi cosa. E le montagne, in questa sfida, diventano scenario, sfondo. Una perdita culturale evidente».
È questa la sfida del futuro quindi?
«Sì. La scommessa futura è culturale. E riguarda tutti: Sat, ma non solo. Oggi non ci sono più filtri: la comunicazione invita tutti dappertutto. In questo anche i rifugi sono coinvolti: i rifugi trasformati in qualcosa di diverso invitano le persone ad alzare il livello delle pretese. E in questo l’Alto Adige registra qualche deriva: penso a rifugi con lo chef, il centro benessere, le camerette singole. Non a caso stiamo ragionando con Cai e Dolomiti Unesco per cercare di trovare una coerenza complessiva dei rifugi, per far capire che il vero benessere non è l’aggiunta, ma l’esperienza che si vive nella sua semplicità. Un’offerta che, tra l’altro, ancora funziona: nel 2017 abbiamo raggiunto i 52.000 pernottamenti. Segno che la voglia di montagna c’è. Ma va guidata».
I rifugi, nel 2017, hanno dovuto fare i conti anche con la carenza d’acqua. Un problema che si riproporrà.
«Certo. E anche in questo caso il punto riguarda l’educazione. Ma non solo: va detto che il tema del cambiamento climatico è scomparso dalle agende politiche. Si parla di lupi, orsi, profughi: ma di un argomento decisivo per l’umanità si tace».
Torniamo, per finire, al suo bilancio. Su quale aspetto avrebbe voluto fare di più?
«Sul mondo giovanile, sul quale abbiamo investito ma che va sviluppato ancora. La Sat e la montagna hanno molto da dire sulla formazione: molti ragazzi hanno perso il rapporto con la montagna ed è importante che possano scoprirlo. Per questo mi piacerebbe, in futuro, potermi occupare del settore della formazione. Dei ragazzi, ma anche degli adulti. In ogni caso, deciderà il consiglio».
E i progetti di cui va più fiero?
«L’apertura della Casa della Sat, che dal “palazzo” è diventata la casa della montagna, aperta a tutti. Così, anche lo Spazio alpino. Ma anche l’incontro con le sezioni, il lavoro sui rifugi. Se penso a questo, posso dire che il bilancio è stato davvero positivo».