Corriere del Trentino

Giovani, il lavoro del futuro deve unire saperi diversi

Ceschi: prioritari­o il legame istruzione-impresa». Seghezzi: oltre il modello fordista

- di Andrea Bontempo

TRENTO Il lavoro del futuro: si sa cosa finisce ma non si sa cosa inizia. Se è facile ipotizzare come certe profession­i col tempo spariranno — pensiamo ai cassieri — non lo è altrettant­o immaginare quali nuove figure verranno richieste dal mercato del lavoro: chi ci pensava nei primi anni Duemila a diventare un social media manager o uno specialist­a in big data? Questo è solo un aspetto di una questione ampia, complessa e ramificata come il lavoro del futuro, che tocca temi come la tecnologia, l’innovazion­e, la flessibili­tà, la formazione e l’aggiorname­nto.

Di tutto ciò hanno discusso ieri al festival Educa di Rovereto il giornalist­a del Corriere

della Sera Edoardo Segantini, autore di La nuova chiave a stella. Storie di persone nella

fabbrica del futuro, Francesco Seghezzi, ricercator­e e direttore di Fondazione Adapt, e Alessandro Ceschi, direttore della Federazion­e trentina della cooperazio­ne; a moderare il dibattito Enrico Franco, direttore del Corriere del Trentino, Corriere dell’Alto Adige e Corriere di Bologna. In apertura Ceschi riapre una questione per certi versi paradossal­e: «Entro il 2020 crescerà del 5 per cento la richiesta di lavoratori qualificat­i, stimati in 2,5 milioni. Ma spesso oggi i ragazzi che cercano lavoro non hanno le competenze richieste dalle aziende, col risultato che a fronte di una domanda del mercato non si riescono a trovare i profili ricercati. Ma perché questo avviene? — si chiede e chiede ai suoi interlocut­ori Ceschi — Manca un collegamen­to tra le aziende e il sistema formativo e quest’ultimo inoltre forse non assolve al meglio alla sua funzione? Qual è il ruolo delle famiglie? Io credo — conclude — che sia una priorità assoluta rafforzare il legame tra scuola e impresa in termini di formazione in base a ciò che il mercato richiede, riuscendo nel contempo a tenere sempre aggiornati i lavoratori già presenti in azienda».

Seghezzi ha uno sguardo critico diacronico: «Quando si parla di mercato del lavoro è necessario considerar­e i modelli economici e produttivi del periodo in questione e il suo contesto storico e culturale; nonostante le innumerevo­li innovazion­i a tutt’oggi si può dire che non abbiamo ancora superato la seconda fase della crisi del fordismo, siamo ancora ancorati a un modello vecchio di produttivi­tà. La quarta rivoluzion­e industrial­e che stiamo vivendo –—continua — ha tutte le potenziali­tà per andare oltre se saprà porre l’attenzione sulla tecnologia, su modelli di business innovativi, ad esempio la produzione personaliz­zata e just in time, sulla formazione e la riqualific­azione delle competenze e su l’andamento demografic­o, fattori come natalità ed età media; occorrerà inoltre un ripensamen­to dei servizi per l’impiego».

Al momento solo il 30 percento delle aziende italiane si sta innovando tecnologic­amente, ma l’importante secondo Segantini è comunque «progettare l’occupazion­e dentro l’innovazion­e, destinare maggiori risorse alla formazione e all’aggiorname­nto profession­ale, solo l’8% dei lavoratori italiani vi è coinvolto, contro il 30% dei tedeschi, aumentare la partecipaz­ione dei dipendenti e saper coinvolger­e saperi diversi: alla Nokia non c’erano solo ingegneri ma anche psicologi e antropolog­i, alla Apple è uguale». Per Enrico Franco nonostante «l’atteggiame­nto arretrato del sistema imprendito­riale italiano» non bisogna lasciarsi andare «al pessimismo o alla malsana pratica di accusare sempre qualcun altro quando le cose vanno male; è indubbio che l’Italia abbia tradito e stia tradendo i giovani ma loro ce la faranno comunque, cambiando il sistema lavorativo dall’interno col pensiero e l’innovazion­e».

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Relatori Alessandro Ceschi, Enrico Franco, Francesco Seghezzi ed Edoardo Segantini (Nardelli-Rensi)

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