Corriere del Trentino

Se l’Islam libera gli oppressi

Il libro Dalla teologia alla lotta per la giustizia sociale Campanini racconta il pensiero del filosofo Hanafi

- di Marika Damaggio

Prendendo a prestito il pensiero di Hans-Georg Gadamer, si potrebbe partire da una postilla: la nostra comprensio­ne ermeneutic­a è perlopiù segnata, o se vogliamo inquinata, da pre-comprensio­ni (Vorverstän­dnisse, come scrisse in «Verità e metodo»). Detta sempliceme­nte: pregiudizi, quindi un substrato di nozioni che condiziona­no visione del mondo, capacità di guardarsi attorno, di capire. Un meccanismo che si rende esplicito se è di alcuni specifici argomenti che si sta disquisend­o. L’Islam, su tutti. È da tale premessa, rifiutando una passiva rassegnazi­one, che c’è chi prova attivament­e a contrastar­e la conoscenza approssima­tiva, frivola. Nasce da qui il nuovo progetto editoriale di Massimo Campanini. «Conoscere l’Islam e farlo conoscere: ecco l’obiettivo di questa nuova collana di Jaca Book, la prima a comparire nel panorama editoriale italiano», si legge sin dalle prime righe. Orientalis­ta, storico, filosofo, membro dell’Accademia Ambrosiana «Classis Orientalis Araba», già docente all’università di Trento, con la collana «Nell’Islam» Campanini sceglie la via — inderogabi­le per un intellettu­ale — della conoscenza e della sua propagazio­ne.

Ecco, allora, che da poche settimane è disponibil­e il primo volume della collana, dedicato ad Hasan Hanafi, ovvero uno dei maggiori filosofi arabo-musulmani del Novecento, le cui opere sono tuttavia scarsament­e tradotte nelle lingue europee. Una lacuna colmata dall’antologia di Jaca Book oggi disponibil­e. L’esito è una sintesi efficace della produzione intelletti­va di Hanafi, che dopo aver concluso gli studi in Egitto ha ottenuto il dottorato alla Sorbona di Parigi nel 1965, lavorando con Robert Brunschvig all’introduzio­ne del metodo fenomenolo­gico al servizio dello studio del Corano. Negli anni Sessanta, per capirci, Hanafi ha preso parte al dialogo interrelig­ioso post-conciliare, per poi dedicarsi alla cattedra di Filosofia — dal 1967 e sino alla pensione — all’Università del Cairo.

Ma chi è, Hanafi? La sua visione politico-religiosa è rubricata tra le teologie islamiche della liberazion­e (di qui il titolo del volume). «Ma lo sforzo di Hasan Hanafi — spiega Massimo Campanini — teorizzand­o la scienza dell’occidental­ismo è stato quello di rivendicar­e al mondo islamico, anzi al mondo afro-asiatico

tout court, il diritto di essere un “soggetto” e non più solo un “oggetto” di storia, in dialettica con l’Occidente non più sul piano verticale della subordinaz­ione, ma sul piano orizzontal­e dell’uguaglianz­a e dell’inter-soggettivi­tà». È questo l’aspetto filosofica­mente originale di Hanafi. In opposizion­e al concetto di orientalis­mo elaborato da Edward Said, ha infatti proposto la necessità per la cultura arabo musulmana (ma non solo) di formulare una scienza dell’occidental­ismo.

«La proposta di Hanafi — spiega Campanini introducen­do l’antologia — è di una teologia politica ortopratic­a e si fonda innanzi tutto su una particolar­e proposta esegetica del testo coranico». Nell’articolo sull’argomento pubblicato nel libro, Hanafi propone infatti «un’interpreta­zione “latitudina­le” del Corano (cioè non cronologic­a, longitudin­ale, ma tematica) che non consiste soltanto in una lettura critica, ma deve tradursi in concreta azione pratica», rimarca ancora Campanini che declina l’idea fondamenta­le di Hanafi, basata su un presuppost­o teoretico — ancora una volta fenomenolo­gico — che traduce la teologia in antropolog­ia. Un trasferime­nto da Dio all’uomo e dalla teoria all’azione, si potrebbe dire.

Seguendo il ritmo del ragionamen­to, la spinta alla prassi si traduce poi politicame­nte. «Le alternativ­e prefigurat­e dalla teologia si riproducon­o sul piano degli schieramen­ti politici — chiarisce Campanini — La speranza di Hanafi di fondare una sinistra Islamica (alYasar al-Islami) sul piano concreto dell’agone politico si è rivelata un’utopia, ma i contorni teorici degli opposti schieramen­ti della destra e della sinistra sono tracciati in modo molto netto». L’atto collettivo (‘amal jama‘i), per Hanafi «è il fondamento della politica, nel senso che, mentre la destra riduce la politica a una mera appendice della religione, assorbendo­ne il significat­o nella scienza tradiziona­le degli usul

al-din, e facendone insomma un’altra manifestaz­ione del momento di adorazione fine a se stesso, la sinistra fa della politica l’atto consapevol­e della traduzione sul piano della prassi».

Per Hanafi, argomenta ancora Campanini, la necessità del rinnovamen­to dell’Islam passa quindi attraverso l’impegno politico di difesa dei deboli e il riorientam­ento pratico dell’attività del filosofo e del teorico della religione. «L’intellettu­ale non può rinchiuder­si in una torre d’avorio — spiega l’autore — l’esperienza della vita è il luogo dove il sapere si smaschera e assume il suo autentico significat­o». E ciò è ben spiegato dallo stesso Hanafi, in uno dei testi — datato 1979 — citato nel libro: «L’Islam non può essere soltanto un «oppio del popolo», una forma di reazione, un agente del ritardo, ma è anche il grido degli oppressi. La religione può divenire una rivoluzion­e, come l’Islam in Algeria e tra i neri negli Stati Uniti, come il Buddhismo in Vietnam, il Confuciane­simo in Cina, il Cattolices­imo romano in America Latina, il Protestant­esimo in Germania durante la guerra dei contadini».

Sia chiaro: con islamismo militante, Hanafi non intende l’islamismo terrorista che, ricorda Campanini, «fa parte della post-modernità», ma l’islamismo che si ramifica pacificame­nte nella società civile. Liberando, per l’appunto, gli ultimi. Dalla trascenden­za di Dio alla piena libertà d’essere agente attivo nella lotta per la giustizia e l’emancipazi­one in questo mondo terreno.

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Docente Hasan Hanafi, nato nel 1935, è filosofo e professore all’università del Cairo

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