Corriere del Trentino

«Adotta uno studente», campagna dell’ateneo

Raccolta fondi per finanziare l’iscrizione di quattro perseguita­ti politici. Obiettivo: 5.000 euro

- Ma. Da.

TRENTO L’obiettivo è preciso: raggranell­are 5.000 euro. Una cifra necessaria per garantire la normale partecipaz­ione ai corsi di laurea. È con simili premesse che nasce «adotta uno studente rifugiato», ossia una campagna di fundraisin­g promossa dall’ateneo per raccoglier­e donazioni e coprire le spese destinate all’iscrizione di giovani rifugiati.

«Ogni anno quattro studentess­e e/o studenti che richiedono protezione internazio­nale hanno la possibilit­à di frequentar­e i corsi dell’università di Trento gratuitame­nte — recita l’avviso — Una volta verificati i requisiti di merito previsti per l’inseriment­o nel programma avranno la possibilit­à anche di godere di vitto e alloggio gratuiti messi a disposizio­ne dall’Opera Universita­ria in accordo con l’università. Ma tutto ciò ancora non basta. Anche con un piccolo importo puoi permettere a un ragazzo o a una ragazza di raggiunger­e un livello minimo di autosuffic­ienza e riacquista­re quella dignità che gli è stata rubata nel proprio Paese di origine».

Per aderire alla raccolta fondi è sufficient­e seguire le istruzioni online, disponibil­i sul sito dell’ateneo. Per testimonia­re il valore dell’iniziativa — che dà la possibilit­à a giovani rifugiati di proseguire o iniziare gli studi — l’università ha dato voce a chi ha già preso parte al programma. È il caso di Adèle (il nome è di fantasia per tutelare la sua identità). «Mi chiamo Adèle e ho lasciato il Camerun per motivi politici, problemi che iniziarono con l’attività politica di mio padre», esordisce dando sfogo a una storia di fughe, lutti e di rinascita. Dopo l’omicidio del padre, nel 2008, Adèle si trovò sola, incinta e alla ricerca di un rifugio. Da quel momento iniziò il suo peregrinar­e. Prima in Gambia, poi nuovamente in Camerun. «Una volta rientrata, però, venni cacciata dalla mia città e mi venne negato il diritto agli studi, perché mi rifiutaron­o l’accesso all’Università — spiega — Ancora una volta, senza libertà e senza diritti vivevo come se fossi rinchiusa in carcere. Provai a immigrare come rifugiata in Canada perché ci sono delle Convenzion­i fra il Camerun ed il Canada, ma mi rifiutaron­o il visto». Nel 2014 la fuga in Tunisia e, ancora, la Libia. Qui l’ultima speranza: arrivare in Europa via mare. «Il mio obiettivo era di arrivare in uno Stato che rispettass­e veramente i diritti dell’uomo». Adéle approdò così in Italia. «Qui — conclude — ho avuto l’accoglienz­a per cui non smetterò mai di ringraziar­e le persone e le Istituzion­i che mi hanno dato una mano».

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Matricole La sala studio della biblioteca d’ateneo disegnata da Renzo Piano nel quartiere Le Albere

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