I Cavalieri di Aristofane
Stabile di Bolzano, giovedì il debutto della produzione
Era l’ottobre del 2017 ,quando, al termine di elezioni libere e partecipate, il 45,51% dei votanti di «Wordbox Arena» espresse la propria preferenza per I Cavalieri di Aristofane. Cervantes e il suo Don Chisciotte si fermò al 24,80% distaccato di oltre venti punti percentuali dal vincitore. Più «dignitoso» il risultato del giovane outsider Lorenzo Garozzo che, dato per spacciato dai sondaggi, ottenne il 29,67% con il suo J.T.B.
Fortunatamente, il sistema elettorale fece in modo che, non appena noto il risultato delle urne, si potesse incaricare Roberto Cavosi della regia de I Cavalieri. Ora, a sei mesi di distanza, il pubblico potrà valutare la propria lungimiranza. Lo potrà fare al Teatro Studio di Bolzano dal 3 al 20 maggio (ad esclusione dei giorni 7, 8, 9, 14, 15, 16 maggio, alle 20.30, domenica alle 16), al Forum di Bressanone il 21 maggio, al Teatro Comunale di Vipiteno il 23, all’Haus Michael Pacher di Brunico il 25 e al Teatro Puccini di Merano il 27.
Come detto, la regia è di Roberto Cavosi che ha curato anche la traduzione e l’adattamento, le scene sono di Andrea Bernard, i costumi di Elena Beccaro, le luci di Massimo Polo mentre le musiche sono di Emanuele dell’Aquila che le eseguirà in scena direttamente dal cassonetto dell’immondizia in cui interpreterà un improbabile Aristofane. In scena: Antonello Fassari, Andrea Castelli, Fulvio Falzarano, Giancarlo Ratti, Mario Sala, Michele Nani, Loris Fabiani e Sara Ridolfi.
Cavosi ha, quindi, avuto pochi mesi a disposizione per decidere come portare in scena uno spettacolo rappresentato per la prima volta nel 424 avanti Cristo, ovvero oltre 2400 anni fa. Ha optato per una versione che accentuasse la incredibile contemporaneità del testo di Aristofane: «L’ho ambientato in una zona periferica dei nostri tempi, l’ho trasformato in una sorta di festa paesana mantenendo il nucleo centrale dell’originale, ma riducendo il coro a soli due elementi e collocando in scena anche il personaggio di Aristofane. Ho anche ridotto in maniera importante il turpiloquio del testo originale, il pubblico di oggi non lo avrebbe sopportato».
Gli attori si muovono, quindi, tra sacchi di immondizia, pneumatici usati e muri grigi vivacizzati da improbabili scritte in greco. Il popolo, vittima e carnefice di se stesso — interpretato da Andrea Castelli — è uno specchio, nemmeno troppo deforme, in cui tutti possiamo riconoscerci quando dobbiamo decidere a chi delegare il potere. Indecisi se premiare chi ci adula e ci promette facili soluzioni a difficili problemi, o essere realisti e, di conseguenza, accontentarci e smettere di sperare in un rapido cambiamento di situazioni che sono, o ci dicono essere, intollerabili.
Duemila anni fa, Aristofane si era divertito a schernire tutti, elettori ed eletti, per mostrare gli insani meccanismi della demagogia, ovvero «della pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni, specialmente economiche, con promesse difficilmente realizzabili» (Treccani). Evidentemente, a quei tempi funzionava così.