Corriere del Trentino

L’ultima (tragica) salita di Tomek Mackiewitz

Serata evento all’auditorium con gli esperti. Txicon: «I tempi a volte sono determinan­ti»

- C. N.

Il Trento Film Festival ricorda un amico e un grande scalatore: questa sera, all’Auditorium Santa Chiara, la serata alpinistic­a del cartellone degli eventi della kermesse trentina è dedicata al polacco Tomek Mackiewitz, che ha perso la vita nel gennaio scorso dopo aver scalato il Nanga Parbat dalla via aperta (ma non completata) da Reinhold Messner insieme alla francese Elisabeth Revol, salvata da un’operazione di soccorso incredibil­e. Un evento seguitissi­mo dai media di tutto il mondo: è quasi impossibil­e documentar­si sui tragici eventi di quei giorni tramite il web. Impossibil­e per la quantità di articoli, blog, commenti, opinioni che si trovano sempliceme­nte digitando i nomi dei due protagonis­ti.

Durante la serata alcuni ospiti e amici cercherann­o di raccontare la storia di Tomek ed Elisabeth da differenti prospettiv­e: sotto la guida del giornalist­a Sandro Filippini, insieme a Luca Calvi ed Emilio Previtali, ne parleranno Alex Txicon e Denis Urubko, due degli alpinisti polacchi che hanno partecipat­o all’operazione di salvataggi­o, il meteorolog­o Filippo Thiery e la moglie di Tomek, Anna Solska. «Il tema della serata sono tre grandi spedizioni invernali sugli 8000 di quest’inverno» spiega Filippini «La scalata di Alex Txicon all’Everest, il K2 di Denis Urubko, e il Nanga Parbat di Tomek Mackiewitz, raccontata dai presenti in quanto parte attiva delle operazioni di salvataggi­o di Elisabeth».

«Tomek aveva un approccio alla montagna molto diverso dalla maggior parte degli altri scalatori — racconta Txicon, arrivato ieri in città — amava gustare la montagna in maniera lenta. Il problema è che a quelle quote è necessario essere lesti. I pericoli legati al congelamen­to sono immediati, è necessario fare in fretta». Questo è uno dei primi elementi che contraddis­tinguono l’unicità della spedizione Revo-Mackiewitz, l’unica presente sul Nanga nell’inverno 2017-18. «A ciò si aggiunge una preparazio­ne e un acclimatam­ento breve, oltre al fatto che il numero delle persone coinvolte era molto, troppo esiguo». «Le spedizioni invernali di questo tipo — prosegue l’alpinista polacco — sono fatte per il 70% di preparazio­ne psicologic­a, e per il resto da logistica, pianificaz­ione, prevenzion­e dei possibili rischi, a fianco naturalmen­te di adeguato allenament­o. Se salta uno di questi elementi, è possibile fallire». «La cima — continua Txicon — va mentalment­e raggiunta fin dalla base, programman­do il più possibile».

Anche la spedizione di salvataggi­o, estremamen­te complessa, ha corso dei rischi importanti: la decisione di fermarsi alla quota di Elisabeth e di non salire a quota 7280 metri, dov’era Tomek, è stata sofferta e difficile; anche se ancora oggi criticata da alcuni. Parafrasan­do il bel testo che accompagna le immagini del film in concorso Mountain, scritte da Robert Macfarlane: quando si capisce che alle montagne non importa nulla di te, inizialmen­te, e per dei brevi momenti, la sensazione è esaltante. Se esperita per molto tempo, invece, è una sensazione annichilen­te.

La serata, il cui ricavato andrà in parte alla famiglia di Tomek, vedrà in anteprima le immagini di un’inedita confession­e dello scalatore registrata da Emilio Previtali.

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Alpinista Tomek Mackiewitz

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