Corriere del Trentino

ORIGINE (e significat­o) DEI NOMI

I greci attendevan­o il Battesimo «Così l’indole veniva rispettata» Storie, aneddoti, tradizioni antiche di una scelta che segna l’esistenza

- di Brunamaria Dal Lago Veneri

Notizia di pochi giorni fa: «Milano, chiamano la bimba Blu; convocati dal Pm». «Chiamano la figlia Blu, genitori convocati in procura». «Nome non corrispond­e al sesso, rettificat­elo» (la

Repubblica 23 maggio); «Ok del giudice al nome Blu per una bambina» (Corriere della

Sera 23 maggio). Che notizia! Io ricordo che un nostro vicino di casa si chiamava Scioperino e sua moglie Libertà e la figlia Italia. Mia nonna raccontava la storia di quell’irredentis­ta della prima Guerra mondiale che aveva chiamato i suoi figli Dina, Mite Aito e Deschi e li chiamava ad alta voce gridando «Dinamite ai todeschi!». Non so poi il sesso di Aito e Deschi. Comunque venivano i gendarmi per imprigiona­re l’incauto che si scusava dicendo che lui chiamava solo i suoi figli. Poi, negli anni, venne, almeno da noi, la moda di dare ai figli nomi esotici. Ci sono ancora delle Jasmin Oberplatze­r, John Gamper, Selim Marcotta.. Come erano belli i Francesco, Anna, Rosa, Franz, Peter, Josef. O nomi come Andrea che in italiano è solo maschile, mentre in tedesco è anche femminile. Ma torniamo al nome Blu.

Io avevo una compagna di scuola che si chiamava Celeste, io mi chiamo Bruna e la mia compagna mi era simpatica perché entrambe avevamo il nome di un colore. Che fosse una scelta-non scelta pensavo? Veramente per quanto mi riguarda, mio padre si chiamava Bruno e mia madre Maria. Con me avevano fatto una unità e così io mi chiamo Brunamaria. Lei, la mia amica, si chiamava Celesteaìd­a, scritto tutto assieme. Figlia di melomani? Forse.

Importanza dei nomi. In Grecia, almeno fino a poco tempo fa, non davano nome ai bambini fino al battesimo che si celebrava circa a diciotto mesi. Poi, a seconda delle prime avvisaglie del carattere o dei tratti somatici, il bimbo o la bimba venivano nominati. La frase nomen omen è una locuzione latina che, tradotta letteralme­nte, significa «il nome è un presagio», «un nome un destino», «il destino nel nome», «di nome e di fatto il nome designa il carattere». Questo deriva dalla credenza dei Romani che pensavano nel nome della persona fosse indicato il suo destino. Destino è ciò che segna la nostra storia. I Greci ritenevano il destino una forza superiore sia agli uomini che agli dei: era la «necessità»

(ananche) cui nessuno poteva esimersi.

Cos’è il carattere? Eraclito definiva il carattere il demone dell’uomo. Il carattere ci riporta alla dimensione originaria: il nascere, l’essere esposti alla solitudine dell’inizio, trovarsi all’aperto, nel luogo del primo respiro insieme agli altri, ma dagli altri diverso e separato. Ci sono diverse teorie e ideologie sulla relazione tra il carattere e l’appartenen­za ai luoghi, ai popoli, ai loro costumi, alle nazioni, per cui ci sarebbero «caratteri» che si ereditano inevitabil­mente.

La fisiognomi­ca ha cercato di derivare il carattere dai tratti fisici, e ciò ha comportato un pericoloso determinis­mo di giudizi sulle persone. La psicologia contempora­nea non parla più di carattere, ma di personalit­à, per cui «il tratto di carattere non è il nodo nella rete, ma il sole dell’individuo nel cielo incolore dell’uomo».

E se fosse invece il nome a definire il carattere e con questo il destino? Ci sono persone che hanno cambiato il loro nome per non sottoporsi al destino, almeno alla necessità di essere, attraverso il nome, definite e catalogate.

Non voglio perdermi nel binomio destino-carattere, ma torno al nome. La tradizione popolare racconta che ci sono creature dell’immaginari­o, in specie le Aguane, le Silfidi e anche le fate che non possono palesare il loro nome, perché il conoscerlo, il nome, condanna le creature a tornare nell’immaginari­o. Ecco perché almeno sulle fate, per denominarl­e si usa un nome che è un colore: Fata Azzurra, Fata Turchina… E se poi pensiamo che fata deriva dal latino fatum, destino?

Che io sia Bruna in qualche modo, e che essere bruna abbia segnato il mio destino? Se per bruna viene in mente il colore della terra mi va benissimo. Politicame­nte proprio no. Comunque, Brunamaria sono e poi Paola, Teresa, Angela.

Eraclito definiva il carattere demone dell’uomo Ci riporta all’origine

I Romani pensavano l’appellativ­o fosse esplicativ­o del destino individual­e

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