Mart, 300 opere firmate Baruchello Elogio dell’ordine
Al Mart di Rovereto 300 opere tra pitture e sculture dell’artista livornese Maraniello: «Una mostra dove resta evidente l’ordine, le sue regole»
Nel dormiveglia quasi tutto è ancora possibile. Il contatto con la realtà si allenta, immersi in un leggero fluttuare, sganciati dai punti di riferimento consueti si esplorano territori privi di orizzonti: una sorta di tela bianca su cui appaiono forme di colori e monocrome, a volte indistinte, altre che assumono invece sembianza di albero, di sedia, di figura umana e animale, di montagna, di parole spesso incomprensibili. Su tutto predomina un immenso sentimento del bianco, la poesia dell’incerto sulla cui soglia il pensiero si appropria del dentro e del fuori, del qui e dell’oltre. Anche perché, proprio sulla soglia, nel foyer antistante le gallerie espositive, la mostra viene introdotta da un Giardino di piante velenose,
un invito a prestare attenzione e a individuare i pericoli che possono celarsi dietro a forme e narrative affascinanti.
Siamo al Mart, e per entrare nel vivo della personale dedicata a Gianfranco Baruchello abbiamo seguito il consiglio dell’artista stesso: «Ognuno vada davanti a un’opera, e la prima cosa Maraniello: che gli viene in mente è quanto il pittore avrebbe voluto dirgli». Da questo suggerimento nascono le atmosfere del nostro incipit, evocate dalle sei opere di grandi dimensioni intitolate Nei giardini del dormiveglia che aprono Gianfranco Baruchello, la mostra organizzata dallo stesso Mart in collaborazione con la Fondazione Baruchello. Visitabile fino al 16 settembre, curata dal direttore del museo roveretano Gianfranco Maraniello, con circa trecento opere l’iniziativa ripercorre la carriera di Baruchello (Livorno, 1924), uno tra i grandi maestri dell’arte italiana contemporanea. Indipendente dalle principali tendenze del periodo, nella sua lunga carriera di artista e pensatore, Baruchello ha intessuto rapporti intellettuali e di amicizia con grandi figure culturali come Marcel Duchamp, Jean-François Lyotard, Alain Jouffroy e Italo Calvino.
«La presentazione di questa mostra introduce degli elementi quasi di imbarazzo, e non può che essere così nel momento in cui ci troviamo in una sede museale, ossia in uno spazio che, anche suo malgrado, produce ordinamenti, classificazioni, tassonomie — osserva Maraniello —. Come potremmo mettere in ordine i lavori di Baruchello? I suoi dipinti non sono solo astratti, figurativi, tecniche, formati, assemblaggi. Ben presto ci rendiamo conto che ci sono dipinti che si distendono come un fiume, altri che stanno nello spazio e qui si realizzano, oppure che necessitano di un salto in una scatola per ritrovarsi in un paesaggio. Forse ci sono anche dipinti che fanno l’amore, o hanno paura di un bosco dove scoprire la nudità, altri ancora che richiedono di avvicinarsi, perdersi, ritrovare frammenti per scoprire che ci si trova al cospetto dell’invisibile».
Una mostra che si sviluppa anche oltre le sale espositive «di cui quello che resta evidente è l’ordine, le sue regole che diventano un canovaccio, una decisa antropometria, in quanto questi territori in esposizione si annunciano innanzitutto nell’orizzontalità. In un paesaggio, quindi, che si attraversa, in un disegno presentato al visitatore non nello spazio convenzionale della visione ma in quello che corrisponde all’idea operativa dell’artista» — prosegue il direttore che definisce scherzosamente la mostra del Mart «un giro del giorno nei mondi di Baruchello».
Il percorso espositivo viene introdotto, infatti, con la luce naturale e progressivamente si raggiungono le zone di ombra e di penombra in cui le sperimentazioni delle immagini in movimento producono la straniante sensazione di aver compiuto anche una sorta di tragitto verso la smaterializzazione.
Pittura, lavori tridimensionali, scultura, cinema sperimentale, frammenti per i quali l’artista cerca un’organizzazione, molta scrittura, combinazioni di lettere e di numeri che richiamano l’estetica calviniana, basti pensare alla struttura dell’indice di Palomar. E ancora, una fertile sperimentazione di linguaggi, tutta l’opera di Baruchello «è davvero un tentativo di perimetrare il destino e la provenienza delle immagini» — conclude Maraniello.
In questo ricco mondo, che propone lavori che partono dal 1959, non può mancare l’origine di tutto, La Grande
Biblioteca di borgesiana memoria, mentre due opere ambientali sono state realizzate appositamente per la mostra al Mart: L’archivio ci guarda, una riflessione sugli sguardi collettivi e individuali che provengono dalla storia, e Le
moi fragile, un’installazione sul rapporto fra il sogno, la politica e il cinema nella forma di un set contemporaneamente psicoanalitico e cinematografico.