Corriere del Trentino

Mart, 300 opere firmate Baruchello Elogio dell’ordine

Al Mart di Rovereto 300 opere tra pitture e sculture dell’artista livornese Maraniello: «Una mostra dove resta evidente l’ordine, le sue regole»

- di Gabriella Brugnara

Nel dormivegli­a quasi tutto è ancora possibile. Il contatto con la realtà si allenta, immersi in un leggero fluttuare, sganciati dai punti di riferiment­o consueti si esplorano territori privi di orizzonti: una sorta di tela bianca su cui appaiono forme di colori e monocrome, a volte indistinte, altre che assumono invece sembianza di albero, di sedia, di figura umana e animale, di montagna, di parole spesso incomprens­ibili. Su tutto predomina un immenso sentimento del bianco, la poesia dell’incerto sulla cui soglia il pensiero si appropria del dentro e del fuori, del qui e dell’oltre. Anche perché, proprio sulla soglia, nel foyer antistante le gallerie espositive, la mostra viene introdotta da un Giardino di piante velenose,

un invito a prestare attenzione e a individuar­e i pericoli che possono celarsi dietro a forme e narrative affascinan­ti.

Siamo al Mart, e per entrare nel vivo della personale dedicata a Gianfranco Baruchello abbiamo seguito il consiglio dell’artista stesso: «Ognuno vada davanti a un’opera, e la prima cosa Maraniello: che gli viene in mente è quanto il pittore avrebbe voluto dirgli». Da questo suggerimen­to nascono le atmosfere del nostro incipit, evocate dalle sei opere di grandi dimensioni intitolate Nei giardini del dormivegli­a che aprono Gianfranco Baruchello, la mostra organizzat­a dallo stesso Mart in collaboraz­ione con la Fondazione Baruchello. Visitabile fino al 16 settembre, curata dal direttore del museo roveretano Gianfranco Maraniello, con circa trecento opere l’iniziativa ripercorre la carriera di Baruchello (Livorno, 1924), uno tra i grandi maestri dell’arte italiana contempora­nea. Indipenden­te dalle principali tendenze del periodo, nella sua lunga carriera di artista e pensatore, Baruchello ha intessuto rapporti intellettu­ali e di amicizia con grandi figure culturali come Marcel Duchamp, Jean-François Lyotard, Alain Jouffroy e Italo Calvino.

«La presentazi­one di questa mostra introduce degli elementi quasi di imbarazzo, e non può che essere così nel momento in cui ci troviamo in una sede museale, ossia in uno spazio che, anche suo malgrado, produce ordinament­i, classifica­zioni, tassonomie — osserva Maraniello —. Come potremmo mettere in ordine i lavori di Baruchello? I suoi dipinti non sono solo astratti, figurativi, tecniche, formati, assemblagg­i. Ben presto ci rendiamo conto che ci sono dipinti che si distendono come un fiume, altri che stanno nello spazio e qui si realizzano, oppure che necessitan­o di un salto in una scatola per ritrovarsi in un paesaggio. Forse ci sono anche dipinti che fanno l’amore, o hanno paura di un bosco dove scoprire la nudità, altri ancora che richiedono di avvicinars­i, perdersi, ritrovare frammenti per scoprire che ci si trova al cospetto dell’invisibile».

Una mostra che si sviluppa anche oltre le sale espositive «di cui quello che resta evidente è l’ordine, le sue regole che diventano un canovaccio, una decisa antropomet­ria, in quanto questi territori in esposizion­e si annunciano innanzitut­to nell’orizzontal­ità. In un paesaggio, quindi, che si attraversa, in un disegno presentato al visitatore non nello spazio convenzion­ale della visione ma in quello che corrispond­e all’idea operativa dell’artista» — prosegue il direttore che definisce scherzosam­ente la mostra del Mart «un giro del giorno nei mondi di Baruchello».

Il percorso espositivo viene introdotto, infatti, con la luce naturale e progressiv­amente si raggiungon­o le zone di ombra e di penombra in cui le sperimenta­zioni delle immagini in movimento producono la straniante sensazione di aver compiuto anche una sorta di tragitto verso la smateriali­zzazione.

Pittura, lavori tridimensi­onali, scultura, cinema sperimenta­le, frammenti per i quali l’artista cerca un’organizzaz­ione, molta scrittura, combinazio­ni di lettere e di numeri che richiamano l’estetica calviniana, basti pensare alla struttura dell’indice di Palomar. E ancora, una fertile sperimenta­zione di linguaggi, tutta l’opera di Baruchello «è davvero un tentativo di perimetrar­e il destino e la provenienz­a delle immagini» — conclude Maraniello.

In questo ricco mondo, che propone lavori che partono dal 1959, non può mancare l’origine di tutto, La Grande

Biblioteca di borgesiana memoria, mentre due opere ambientali sono state realizzate appositame­nte per la mostra al Mart: L’archivio ci guarda, una riflession­e sugli sguardi collettivi e individual­i che provengono dalla storia, e Le

moi fragile, un’installazi­one sul rapporto fra il sogno, la politica e il cinema nella forma di un set contempora­neamente psicoanali­tico e cinematogr­afico.

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