UNA RETORICA PERICOLOSA
In una delle prolusioni all’inedito tentativo di governo Lega-Movimento 5 stelle e dopo il suo naufragio, Matteo Salvini ha riproposto la potente narrazione del popolo contro l’establishment (propria anche dei pentastellati) come nuovo spartiacque della politica contemporanea, dismettendo le categorie di destra e sinistra. È una costruzione retorica assai di tendenza nella costellazione eterogenea dei movimenti politici di rottura sbocciati nel prato europeo, perché il momento storico ha condensato, come punto di caduta brutale, le iniquità di una globalizzazione non governata e le insofferenze verso una transizione istituzionale che da troppi anni richiama il superamento degli Stati nazione senza un’effettiva democratizzazione dell’Unione europea. L’irruenza con cui si intende avallare tale concezione — il coinvolgimento del Quirinale in una polemica capziosa che mira a capitalizzare il consenso, anche a detrimento del M5s, lo esplicita — è tuttavia sospetta.
Il dualismo popolo-élite da sempre connota le fasi di cambiamento. La rivoluzione francese è stata il rovesciamento dell’assetto istituzionale e di potere aristocratico da parte dell’ascendente borghesia, il fascismo e il nazismo hanno marcato la loro funerea avanzata agitando i bisogni del popolo contro le deboli vestigia democratiche, il Sessantotto ha picconato la struttura sociale patriarcale e contrapposto il proletariato alla borghesia, mantenendo saldo lo schema oppressi-oppressori. In tutti questi casi la matrice politica era però evidente. Il rifugio dell’identità nazionale, la critica alle sovrastrutture europee e internazionali, la guerra ai migranti, l’opposizione alle élite assomigliano così più al programma di una nuova destra — dove la sinistra è invece incapace di concepire un disegno radicale di «democratizzazione mondiale» delle istituzioni e di superamento del concetto tradizionale di cittadinanza — che si depone in un corpo sociale sbattuto dalla perdita di riferimenti.
La neutralizzazione degli opposti (destrasinistra) in nome di un programma di popolo è una carta che spunterà in vista delle prossime elezioni provinciali. In fin de conti, depotenzia nell’immaginario dell’elettore le principali obiezioni di un voto a destra. Contro la profondità di un simile richiamo politico, la ridondanza dell’amministrazione provinciale rischia di essere insufficiente e parziale perché la dimensione della scelta resta sempre e comunque politica.