SANITÀ, POLITICA SEMPRE PRUDENTE FUTURO INCERTO
La politica sanitaria trentina si è sempre distinta per interventi mai di grande respiro. Si è cercato di evitare strappi con le comunità.
Dal 1990, anno in cui assunsi la direzione sanitaria dell’ospedale di Trento, ho vissuto in prima persona le vicende della Sanità trentina. Dall’osservatorio sul campo ho vissuto i cambiamenti dell’organizzazione sanitaria e mi sono chiesto quali siano i tratti salienti della politica sanitaria caratterizzanti questo periodo di tempo quasi trentennale. Sono passati molti assessori, da Lorenzini a Paola Conci, Morandini, Magnani, Andreolli, Rossi e da ultimo Zeni. Analizzando il loro operato ho cercato di individuare una linea di condotta comune nel contesto dei cambiamenti che si sono verificati.
Problemi economici di rilievo, pur in contesti differenti, non ve ne sono stati, essendo sempre il Trentino tra i maggiori «spenditori» tra le regioni italiane. La linea tendenziale di comportamento della politica sanitaria trentina si connota per moderazione ed attenzione al particolare, tramite interventi mai di grande respiro, tesi a evitare strappi e in tempi lenti: prudenza, cautela, confronto continuo (alle volte asfissiante) con le parti per fronteggiare le istanze delle comunità periferiche impegnate nella difesa dei loro ospedali. La linea di evitare strappi, mediare a oltranza, procedere a compensazioni, ha comportato come altro lato della medaglia l’assenza di interventi strategici di ampio respiro, spesso mal compresi dalla gente, collegati a tempi di realizzazione medio-lunghi. D’altronde, il consenso più facile e immediato nasce da concessioni step by step più che da interventi sistemici, condannando inevitabilmente la programmazione a un ruolo secondario. Non sono mancate comunque intuizioni e interventi politici di peso, come la legge provinciale istitutiva dell’azienda unica, antesignana rispetto al resto d’Italia.
Nel tempo le grandi aree del «sistema salute» trentino hanno viaggiato senza strappi. La rete ospedaliera non è cambiata nella sostanza, né come strutture né come organizzazione. Finalmente sono giunti all’operatività dopo interventi durati quasi trent’ anni l’ospedale di Arco e il Nuovo Villa Rosa. In negativo ci si trova di fronte ad un ospedale da abbattere e ricostruire (Cavalese), a un ospedale inutile, seppure orientato in senso territoriale (Mezzolombardo), all’incredibile vicenda del Nuovo Ospedale del Trentino.
La prevenzione è stata autonomizzata ed è complessivamente funzionante, seppure cenerentola del sistema salute. La rete dei servizi territoriali, a parole sempre da sviluppare e rinforzare, si è attestata su iniziative in ordine sparso per la parte strutturale, una congerie di strutture e ambulatori sparsi secondo le istanze di sindaci e comunità: non esiste ancora, ad esempio, il concetto della sede unica dei servizi territoriali, ove operino in integrazione operatori del territorio e medici di famiglia, soluzione che spinga il cittadino a capire che esiste un altro punto di riferimento oltre all’ospedale. Senza questa visione strategica, la parcellizzazione è garantita.
In Trentino il sistema della medicina territoriale da anni vive di proclami, presunte riorganizzazioni, rinnovi contrattuali che hanno portato vantaggio economico per i professionisti, senza che a tali dichiarate «novità» corrisponda un reale vantaggio nell’assistenza concretamente sperimentato dai cittadini (tranne che per l’aspetto informatico).
La tenuta economica del sistema complessivamente c’è stata, sono stati mantenuti e aumentati i finanziamenti (la Provincia ha aumentato nel 2017-2018 il finanziamento dell’azienda sanitaria di 23 e 45 miliardi rispetto alle riduzioni degli anni precedenti), anche se negli ultimi tempi un bel po’ di polvere è stata messa — come si dice — sotto il tappeto per fare quadrare i conti (ad esempio la sostituzione delle apparecchiature è stata fortemente ritardata), vi sono sprechi importanti (vedasi il punto nascita di Cavalese e, da un certo punto di vista, la Protonterapia), l’edilizia è ferma.
A oggi, oltre una riorganizzazione aziendale confusa e forse inutile, la difficoltà di reperimento di personale specializzato per il punto nascita di Cavalese ha condotto a un cul de sac: un problema minore nel contesto generale assurto ad «armageddon» della politica sanitaria trentina, scaramuccia trasformata in battaglia epocale, distogliendo in tal modo lo sguardo da più importanti problematiche. L’assessore Zeni ha optato, con molta sfortuna e poco senso tattico, sia per tentare una riorganizzazione aziendale complessa, impostata da logiche della burocrazia provinciale ignorante dell’organizzazione sanitaria (e inoltre malamente affidata), sia per puntare la propria credibilità politica sulla riapertura del punto nascita di Cavalese.
Concludendo, per i decisori vi è la necessità di arguire quale sarà la Sanità del futuro, modulando le scelte organizzative e strutturali ai nuovi scenari: problema complesso politicamente quanto umanamente (come diceva il nobel Niels Bohr: è molto difficile fare previsioni, soprattutto quando riguardano il futuro).
Per la Sanità in Trentino il discorso si basa su pochi capisaldi su cui fare convergere i singoli interventi: ottima competenza del personale, più servizi territoriali in strutture adeguate, prevenzione, meno ospedali ma fortemente tecnologici, massima integrazione e flessibilità ospedaleterritorio, riorganizzazione dei medici di famiglia. Il futuro è in effetti incerto.