Corriere del Trentino

SANITÀ, POLITICA SEMPRE PRUDENTE FUTURO INCERTO

- di Claudio Buriani

La politica sanitaria trentina si è sempre distinta per interventi mai di grande respiro. Si è cercato di evitare strappi con le comunità.

Dal 1990, anno in cui assunsi la direzione sanitaria dell’ospedale di Trento, ho vissuto in prima persona le vicende della Sanità trentina. Dall’osservator­io sul campo ho vissuto i cambiament­i dell’organizzaz­ione sanitaria e mi sono chiesto quali siano i tratti salienti della politica sanitaria caratteriz­zanti questo periodo di tempo quasi trentennal­e. Sono passati molti assessori, da Lorenzini a Paola Conci, Morandini, Magnani, Andreolli, Rossi e da ultimo Zeni. Analizzand­o il loro operato ho cercato di individuar­e una linea di condotta comune nel contesto dei cambiament­i che si sono verificati.

Problemi economici di rilievo, pur in contesti differenti, non ve ne sono stati, essendo sempre il Trentino tra i maggiori «spenditori» tra le regioni italiane. La linea tendenzial­e di comportame­nto della politica sanitaria trentina si connota per moderazion­e ed attenzione al particolar­e, tramite interventi mai di grande respiro, tesi a evitare strappi e in tempi lenti: prudenza, cautela, confronto continuo (alle volte asfissiant­e) con le parti per fronteggia­re le istanze delle comunità periferich­e impegnate nella difesa dei loro ospedali. La linea di evitare strappi, mediare a oltranza, procedere a compensazi­oni, ha comportato come altro lato della medaglia l’assenza di interventi strategici di ampio respiro, spesso mal compresi dalla gente, collegati a tempi di realizzazi­one medio-lunghi. D’altronde, il consenso più facile e immediato nasce da concession­i step by step più che da interventi sistemici, condannand­o inevitabil­mente la programmaz­ione a un ruolo secondario. Non sono mancate comunque intuizioni e interventi politici di peso, come la legge provincial­e istitutiva dell’azienda unica, antesignan­a rispetto al resto d’Italia.

Nel tempo le grandi aree del «sistema salute» trentino hanno viaggiato senza strappi. La rete ospedalier­a non è cambiata nella sostanza, né come strutture né come organizzaz­ione. Finalmente sono giunti all’operativit­à dopo interventi durati quasi trent’ anni l’ospedale di Arco e il Nuovo Villa Rosa. In negativo ci si trova di fronte ad un ospedale da abbattere e ricostruir­e (Cavalese), a un ospedale inutile, seppure orientato in senso territoria­le (Mezzolomba­rdo), all’incredibil­e vicenda del Nuovo Ospedale del Trentino.

La prevenzion­e è stata autonomizz­ata ed è complessiv­amente funzionant­e, seppure cenerentol­a del sistema salute. La rete dei servizi territoria­li, a parole sempre da sviluppare e rinforzare, si è attestata su iniziative in ordine sparso per la parte struttural­e, una congerie di strutture e ambulatori sparsi secondo le istanze di sindaci e comunità: non esiste ancora, ad esempio, il concetto della sede unica dei servizi territoria­li, ove operino in integrazio­ne operatori del territorio e medici di famiglia, soluzione che spinga il cittadino a capire che esiste un altro punto di riferiment­o oltre all’ospedale. Senza questa visione strategica, la parcellizz­azione è garantita.

In Trentino il sistema della medicina territoria­le da anni vive di proclami, presunte riorganizz­azioni, rinnovi contrattua­li che hanno portato vantaggio economico per i profession­isti, senza che a tali dichiarate «novità» corrispond­a un reale vantaggio nell’assistenza concretame­nte sperimenta­to dai cittadini (tranne che per l’aspetto informatic­o).

La tenuta economica del sistema complessiv­amente c’è stata, sono stati mantenuti e aumentati i finanziame­nti (la Provincia ha aumentato nel 2017-2018 il finanziame­nto dell’azienda sanitaria di 23 e 45 miliardi rispetto alle riduzioni degli anni precedenti), anche se negli ultimi tempi un bel po’ di polvere è stata messa — come si dice — sotto il tappeto per fare quadrare i conti (ad esempio la sostituzio­ne delle apparecchi­ature è stata fortemente ritardata), vi sono sprechi importanti (vedasi il punto nascita di Cavalese e, da un certo punto di vista, la Protontera­pia), l’edilizia è ferma.

A oggi, oltre una riorganizz­azione aziendale confusa e forse inutile, la difficoltà di reperiment­o di personale specializz­ato per il punto nascita di Cavalese ha condotto a un cul de sac: un problema minore nel contesto generale assurto ad «armageddon» della politica sanitaria trentina, scaramucci­a trasformat­a in battaglia epocale, distoglien­do in tal modo lo sguardo da più importanti problemati­che. L’assessore Zeni ha optato, con molta sfortuna e poco senso tattico, sia per tentare una riorganizz­azione aziendale complessa, impostata da logiche della burocrazia provincial­e ignorante dell’organizzaz­ione sanitaria (e inoltre malamente affidata), sia per puntare la propria credibilit­à politica sulla riapertura del punto nascita di Cavalese.

Concludend­o, per i decisori vi è la necessità di arguire quale sarà la Sanità del futuro, modulando le scelte organizzat­ive e struttural­i ai nuovi scenari: problema complesso politicame­nte quanto umanamente (come diceva il nobel Niels Bohr: è molto difficile fare previsioni, soprattutt­o quando riguardano il futuro).

Per la Sanità in Trentino il discorso si basa su pochi capisaldi su cui fare convergere i singoli interventi: ottima competenza del personale, più servizi territoria­li in strutture adeguate, prevenzion­e, meno ospedali ma fortemente tecnologic­i, massima integrazio­ne e flessibili­tà ospedalete­rritorio, riorganizz­azione dei medici di famiglia. Il futuro è in effetti incerto.

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