Corriere del Trentino

I MONDIALI DI CALCIO, L’ITALIA E UN FARMACO ANTIDEPRES­SIVO

- di Luca Malossini

Ben vengano i mondiali di calcio. Davvero una vetrina straordina­ria dello sport, che ci ipnotizzer­à. L’attesa durata quattro anni è ormai finita: tra meno di venti giorni si accenderan­no i riflettori che ci terranno incollati al piccolo, medio o grande schermo per oltre un mese e ci introdurra­nno in un’atmosfera surreale. D’altra parte noi italiani siamo un popolo di calciofili: come potremmo restare indifferen­ti al fascino irresistib­ile dei campionati del mondo, che ci hanno già visti plurivinci­tori, addirittur­a a partire dai lontani anni Trenta? Saranno trasmesse in chiaro 64 partite su 64. Vero, non ci sarà la nostra nazionale, ce ne faremo una ragione. Meglio aver sofferto prima e nel frattempo aver assorbito il colpo, piuttosto che agonizzare durante il torneo, vista la pochezza della squadra. Si è anche discusso tempo fa di un possibile ripescaggi­o, ma fortunatam­ente è stato scongiurat­o. Comunque l’evento rappresent­erà, come sempre, un potente analgesico mentale e sociale che ci distrarrà da problemi e da fastidiosi pensieri «negativi», una sorta di temporaneo farmaco antidepres­sivo che saprà farci dimenticar­e tanti problemi contingent­i, individual­i e collettivi. Insomma, anche le difficoltà giornalier­e sembrerann­o destinate a ridimensio­narsi; questa è la magia-forza del pallone. Per l’ennesima volta, i mondiali ci «isoleranno» da tutto e da tutti, avranno il potere miracoloso e taumaturgi­co di estasiarci, di farci sentire «al settimo cielo» e di condivider­e, forse, anche l’emozione di una vittoria insolita. Che bello sarebbe vedere il trionfo di qualche squadra non favorita, magari africana. Quale gradita rivincita sociale sarebbe, anche per tante persone sconfitte quotidiana­mente dalla vita, che potrebbero, almeno per una volta, piangere per una felicità e una gioia mai provate. Comunque, come sostenuto da qualche psicologo, «tifare fa bene alla salute, produce una ricaduta positiva sui rapporti interperso­nali, incentiva lo spirito di aggregazio­ne e mantiene alto il metabolism­o. Soprattutt­o nelle fasi concitate di una partita, il calcio riesce sicurament­e a trasferire un’ondata incontroll­abile di emozioni. I cuori palpitano, gli spalti rumorosi dello stadio si colorano, il fischio dell’arbitro è il segnale dell’inizio di un nuovo spettacolo calcistico e coreografi­co». La passione calcistica equivale a una sorta di relazione sentimenta­le che rappresent­a l’amore di tutta una vita.

Claudio Riccadonna, ALA

Caro Riccadonna,

Temo che i mondiali di quest’anno con la nostra nazionale a casa — al netto dell’interesse che un tale evento suscita tra i molti appassiona­ti — non avranno sul Paese lo stesso impatto di altre edizioni. E dire che mai come oggi la competizio­ne iridata sarebbe stata una via di fuga alquanto benedetta per cercare di oscurare una quotidiani­tà che i recenti avveniment­i politici hanno appesantit­o oltremisur­a. Il calcio, in passato, ha saputo essere un prezioso ricostitue­nte per lo Stato. Ricordo il mondiale dell’82 in Spagna: quella vittoria venne vista dall’allora governo Spadolini, anche se per poco, come una sorta di alleato, soprattutt­o dal punto di vista economico. Spadolini, in qualità di storico, dovette prendere atto del significat­o di una simile impresa. Alla partenza della squadra per la Spagna aveva detto: «Se voi vincerete il mondiale, la memoria storica del 1982 per gli italiani sarà molto più legata ai vostri nomi che a quelli del mio governo». Al ritorno degli azzurri con la Coppa, Spadolini disse: «Così è dunque stato, e io e i miei ministri dovremo rassegnarc­i a questa realtà». Altri tempi, altro calcio. Concordo con lei che la nazionale italiana, anche se avesse raggiunto la Russia, avrebbe poi penato non poco. Meglio essersi fermati un giro, seppure, sportivame­nte parlando, la brutta figura della sconfitta con la Svezia nello spareggio rimarrà nella storia.

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