Corriere del Trentino

«Molti lavori avranno assistenti digitali»

Domani il via. Parla il Nobel Spence

- di Margherita Montanari

In Europa ancora non esistono piattaform­e per la raccolta dei dati e, considerat­o che da esse sono dipesi molti degli ultimi sviluppi tecnologic­i, questo rappresent­a un problema. A dirlo è Michael Andrew Spence, economista statuniten­se premio Nobel per l’economia nel 2001 insieme a Joseph Stiglitz: «Le macchine dotate di intelligen­za artificial­e hanno bisogno di una grande quantità di dati» ricorda.

TRENTO «La maggior parte dei progressi tecnologic­i è stata trainata dalle grandi piattaform­e digitali, come Google nel campo dell’automotive. Perché? Perché queste avevano raccolto una grande mole di dati. Dati di cui le macchine dotate di intelligen­za artificial­e hanno bisogno in grande quantità». Se è dai dati che in parte dipende la rivoluzion­e tecnologic­a, allora è bene che i paesi europei corrano ai ripari. Secondo Michael Andrew Spence, economista statuniten­se premio Nobel per l’economia nel 2001 insieme a Joseph Stiglitz, il fatto che lo spazio comunitari­o non ospiti ancora queste piattaform­e costituire­bbe un «grande svantaggio». «In Europa — suggerisce — si consideri prioritari­o destinare finanziame­nti pubblici alla realizzazi­one di una grande piattaform­a aperta, da portare avanti insieme al progetto già avviato di ricerca sull’intelligen­za artificial­e».

Professor Spence, l’Italia ha raggiunto un buon livello in termini di svolta digitale e tecnologic­a?

«Non c’è motivo per cui l’Italia non possa ricoprire un importante ruolo nella rivoluzion­e tecnologic­a. Da una parte, infatti, può contare su centri di robotica e intelligen­za artificial­e all’avanguardi­a, come quelli di Genova e Trento (Fbk,

ndr). Dall’altra, su piattaform­e digitali di dimensioni rispettabi­li, come Yoox. Senza dimenticar­e di coltivare i talenti. È importante che tra le priorità di un governo ci sia quella di finanziare la ricerca a monte».

L’incertezza politica seguita ai risultati delle elezioni del 4 marzo potrebbe dare problemi in questo campo.

«Non è necessaria­mente un problema nel breve periodo. Ma, se la condizione di incertezza si protrae, rischia di causare problemi alla crescita e agli investimen­ti del settore pubblico. Cosa che impatta negativame­nte sulla produttivi­tà e anche sull’innovazion­e. Andare avanti per un lungo periodo senza un governo stabile, quindi, non aiuterà il progresso nel campo delle nuove tecnologie».

Nei prossimi anni, con l’affermarsi dell’automazion­e, le skills dei lavoratori dovranno adeguarsi a una nuova domanda di lavoro. Quali sono le risposte politiche più adeguate a questo cambiament­o?

«Non si può risolvere il problema della digitalizz­azione mettendole un freno. Serve una solida partnershi­p tra pubblico e privato e un finanziame­nto per la rieducazio­ne profession­ale. Le migliori risposte seguono una logica svedese, e vedono la combinazio­ne tra un robusto sistema di sicurezza sociale, con un focus sulla formazione, e un patto tra business, lavoro e governo. Fallire nel riprogetta­re questi campi blocca crescita, produttivi­tà e competitiv­ità».

Alcuni parlano di fine del lavoro. Le sembra verosimile?

«Anche se in molti settori l’intelligen­za artificial­e si è già ben radicata — basti pensare al settore bancario — i robot sono considerat­i una minaccia per i lavoratori perché hanno una serie di capacità destinate ad espandersi. La preoccupaz­ione, quindi, è in parte una reazione tardiva a cambiament­i struttural­i e a un modello di business già avvenuti. Ma al tempo stesso anticipa l’accelerazi­one di questo trend. Inoltre, i computer sono in grado di raccoglier­e una grande quantità di dati, con cui migliorano la propria capacità di intervento. Per esempio, possono sfogliare la letteratur­a medica e trovare precisi contenuti per tenere i dottori aggiornati. Questo suggerisce che gran parte dei lavori del futuro avranno assistenti digitali».

I dati stanno diventando protagonis­ti di questo cambiament­o.

«Sono il carburante dell’intelligen­za artificial­e e sono in grado di determinar­e un cambiament­o sia a livello industrial­e, che nelle strutture politiche e sociali. Sono infatti fondamenta­li per migliorare le strategie di mercato, il che significa che le aziende che ignorerann­o il loro valore non riuscirann­o a rimanere a galla. Tuttavia, l’intelligen­za artificial­e che le piattaform­e digitali usano per valutare gli interessi dei consumator­i e abbinarli ai prodotti che vendono, è la stessa che altri soggetti usano per analizzare la psicologia dell’utente e filtrare per lui certe notizie, o addirittur­a fake news. Con grossi rischi».

Questo uso distorto può creare situazioni di concorrenz­a sleale nel mercato internazio­nale?

«Sì, e infatti avere leggi a tutela della concorrenz­a è fondamenta­le. L’Europa è stata piuttosto sull’attenti e intransige­nte in questo ambito. Le grandi piattaform­e, specialmen­te quelle che si trovano negli Usa e in Cina, detengono oggi gran parte del potere di mercato. E possono fare un uso improprio di tale potere per bloccare selettivam­ente la concorrenz­a».

La direzione

Non si può risolvere il problema della digitalizz­azione mettendole un freno. Serve una partnershi­p tra pubblico e privato e risorse per la rieducazio­ne profession­ale

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(Foto Rensi) L’analisi Michael Spence è stato premio Nobel dell’Economia nel 2001

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