Divertimenti tristi
De Zordo, prose minime in un libro «Così divago dal discorso pubblico»
«Divertimenti tristi » di Enrico De Zordo è un libro t raboccante di strambe emozioni: i turbamenti di uno spolveratore, l’appagamento di chi ha trovato un posto fisso (da quando lavora in un armadio), le paure di chi è in fuga da un pavimento, agitano un universo popolato da uomini stravaganti e animali spaesati.
Il volume, edito da Alphabeta di Merano, raccoglie centoundici prose minime che l’autore brissinese preferisce definire «Racconti rotti». «Era il titolo che inizialmente volevo dare al libro, innanzitutto perché ho scritto prose minime tenute insieme con lo scotch — spiega — Sotto le strisce traslucide del nastro adesivo si vedono le linee di rottura di un racconto che non si aggiusta più».
Chi, a questo punto, sentisse la necessità di una bussola non verrà accontentato, almeno per il momento. Si consiglia, piuttosto, di provare a vagare nell’universo letterario di De Zordo, preferendo la deriva all’approdo e avvisando che l’unico segreto che verrà svelato è il seguente: «Prendere la mira e mancare esattamente un punto indefinito lontano dal bersaglio».
Volendo fornire qualche indicazioni in più, si possono elencare alcuni degli espliciti riferimenti contenuti nel volume: Robert Walser, Italo Calvino, Giorgio Manganelli, Luis Bunuel, Renè Magritte e soprattutto, Frank Kafka. Una citazione dai «Quaderni in ottavo» apre il primo racconto del libro, mentre la «Giornata tipo del viaggiatore circolare» (p.65) sembra intinto ne «La partenza» scritto da Kafka nel 1922. Per l’occasione, Gabriele di Luca, amico personale di De Zordo e autore della postfazione, sembra vestire gli inusuali, e probabilmente poco amati, panni di Max Brod. «L’appendice, la terza parte dei Racconti
tristi, l’ho scritta per lui, per di Luca — spiega — Era il destinatario di quei pezzi, ma trovo che sia la più debole stilisticamente, perché scritta con una forte impronta comunicativa, quella da cui mi sono voluto liberare nelle prime due sezioni. Il libro nasce come disintossicazione dal discorso pubblico sudtirolese, lo potrei definire una divagazione triste di uno che ha mollato certi temi perché ha compreso che non portano a nulla. Ogni giorno andavo al bar con l’intento di non leggere i giornali, volevo mettermi a scrivere di pesci medi e non di piazza Vittoria, di pavoni e non di Alexander Langer».
«Divertimenti tristi» scritti come una fuga con tanto di contrappunti, leggibili, anche e soprattutto, senza comprenderli: «Il collante delle varie prose è la sospensione del senso. Ho mirato alla leggerezza di cui scrive Calvino nelle Lezioni americane, quella raffigurabile solo con il suo opposto». Una leggerezza della pensosità, da associare alla precisione e alla determinazione, non alla vaghezza. Una sorta di vagare per nulla vago. Per quel che riguarda la sospensione, invece, i migliori racconti di De Zordo non sono appesi a nulla e, nonostante questo, non precipitano al suolo ma si spostano come in assenza di gravità (nella duplice accezione di quest’ultima).
L’ossimoro contenuto nel titolo è anch’esso un rinvio a Calvino: «Il divertimento serve a togliere peso all’aggettivo triste che, calvinianamente, diventa malinconico. Allo stesso modo, triste toglie peso a divertimento per arrivare al registro umoristico. Malinconia e umorismo sono molto più leggeri della comicità e della tristezza».
Nonostante lo stile surreale, o forse proprio per quello, un racconto descrive i sentimenti della contemporaneità in maniera precisa, leggera e poetica. Si intitola «I turbamenti dello spolveratore» e narra le vicende di «un eroe del nostro tempo»: «Immerso nel più esteso polverone che si possa immaginare. Polvere, polvere a perdita d’occhio, ma nessun mobile in vista. Dove sono finiti i comodini, le librerie, le scarpiere? E pensare che per essere felice gli basterebbe un mobile, uno solo! Si accontenterebbe di una maniglia, o di un portasigari di nessun valore. Chiede forse troppo? Basterebbe che questa polvere trovasse un po’ di pace, che si depositasse su un ripiano qualsiasi. Allora lui si armerebbe dei suoi panni e tutti capirebbero di che pasta è fatto- Ma così no, no! — dice — Così proprio non va».
Come si sarà compreso, la bussola non è stata trovata, forse neppure cercata, tanto varrebbe chiudere alla maniera de «La passeggiata» (p.50): «Un piano non esiste, nessuna meta ci orienta. A parte la felicità dei nostri passi, c’è solo un vento fresco che ci soffia sulla faccia». Non fosse che quel vento porta un’immagine inattesa, quella di Jack Lemmon in costume intero femminile, mentre corre sulla spiaggia con la gamba destra sospesa per aria. Al suo fianco, mano nella mano, una Marilyn Monroe straordinariamente sorridente. Divagazione, divertimento, sospensione, contrappunto e il vento fresco sul viso. Anche se «A qualcuno piace caldo».
Il collante è la sospensione del senso Ho puntato alla leggerezza di cui scrive Calvino in Lezioni americane e che si raffigura nel suo opposto