Corriere del Trentino

Bressa: il Veneto otterrà un autogovern­o diverso da quello trentino

- di Tristano Scarpetta

«L’autonomia del TRENTO Trentino Alto Adige e quella del Veneto? Non facciamo confusione, sarebbe come paragonare Mauro Icardi a Fabio Aru, due sportivi fortissimi, ma uno è un calciatore, l’altro un ciclista». L’ex sottosegre­tario agli Affari regionali, Gianclaudi­o Bressa, attende di incontrare la neoministr­a Erika Stefani, che ha già chiesto di vederlo, per consegnarl­e il testimone delle nuove autonomie. «Il lavoro è già imbastito, ma — spiega — restano da definire le specifiche competenze e il modo di finanziarl­e».

La neoministr­a veneta del Carroccio conosce direttamen­te il fascicolo «nuove autonomie» e ieri, intervista­ta da Marco Bonet del Corriere

del Veneto, l’ha toccata piano: «O l’autonomia si fa, o salta il governo». Alla richiesta di maggiori competenze si è arrivati per via referendar­ia in Veneto e Lombardia, per via istituzion­ale in Emilia Romagna, ma se la mobilitazi­one di popolo è stata diversa, uguale è la sostanza: le Regioni ordinarie economicam­ente virtuose vogliono più autonomia. Lo consente dal 2001 l’articolo 116 della Costituzio­ne, rimasto fino ad ora lettera morta. «Come noto — premette Bressa — il governo ha finito politicame­nte di esistere il 4 marzo e da allora abbiamo dovuto congelare la pratica, ma il nuovo governo troverà sul tavolo un progetto già avviato con Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e in fase di avvio con Piemonte e Liguria. Le materie che abbiamo individuat­o come campo di lavoro sono la sanità, l’istruzione, l’ambiente, il lavoro e gli affari europei. Si dovranno trovare degli accordi che andranno poi trasformat­i in legge e approvati dalla maggioranz­a assoluta del Parlamento». Ma se i campi di intervento e le modalità legislativ­e di approvazio­ne sono chiari, molto ancora resta da definire. «Bisognerà nominare — continua Bressa — le commission­i paritetich­e tra Stato e Regioni, poi individuar­e le competenze amministra­tive e legislativ­e che saranno trasferite dallo Stato, quindi indicare le modalità di finanziame­nto».

Insomma, se è vero che Stefani non si troverà tra le mani un foglio bianco, è anche vero che quando si passerà dalla teoria ai soldi tutto diventerà più difficile. Un principio di base Bressa lo ha già individuat­o: «Non si utilizzerà il criterio della spesa storica, si ragionerà di fabbisogni». Cosa significa? «Non si dirà “finora in Veneto lo Stato ha speso tot per l’istruzione, diamo quei soldi a Venezia”. Si partirà dai costi standard e si ragionerà di un’addizional­e locale nel caso in cui, per esempio, il Veneto volesse realizzare più scuole in montagna per evitare lo spopolamen­to». E il principio del residuo fiscale? «Quello è un grosso equivoco. L’ideatore, Buchanan, ci vinse un Nobel, ma sostenendo la legittimit­à etica di avere Stati più ricchi che contribuis­cono al gettito federale nordameric­ano più di quelli poveri». Il processo richiederà tempo, perché ogni Regione ha palesato bisogni assai diversi anche nel medesimo campo. «Prendiamo la spesa farmaceuti­ca — continua l’ex sottosegre­tario agli Affari regionali — Dal Veneto e dall’Emilia Romagna ci sono arrivate richieste tra loro molto diverse. Bisognerà calarsi a fondo in ogni questione».

Resta, per Bressa, la differenza con le Speciali. «Non escludo che in futuro la Lombardia e il Veneto possano avere anche più autonomia della Sicilia e della Sardegna, ma la differenza costituzio­nale resterà».

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Determinat­o Riccardo Fraccaro, 37 anni, è ministro con delega ai rapporti con il Parlamento

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