Corriere del Trentino

Gig worker, in Italia sono un milione Le battaglie: salario minimo e tutele

Lo studio Inps: per 150.000 è il lavoro principale. Fana: «Mondo cottimizza­to»

- Andrea Rossi Tonon © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

TRENTO Consegnano pasti a domicilio in scooter o bicicletta, fanno le babysitter, offrono passaggi in automobile, mettono a disposizio­ne un appartamen­to o gestiscono le prenotazio­ni per quelli di altri. L’1,87% dei lavoratori italiani sono «Gig worker», freelance che svolgono il proprio mestiere su chiamata attraverso piattaform­e virtuali che organizzan­o le relazioni tra domanda e offerta.

A fornire il dato più aggiornato su questo mondo complesso è stato ieri il professore di Scienze politiche dell’università Roma Tre Paolo Naticchion­i illustrand­o un rapporto condotto per l’ufficio studi Inps. In termini assoluti si parla di un numero compreso fra 700.000 e 1 milione di persone, per 150mila delle quali questo lavoro rappresent­a la prima fonte di reddito. Il resto è composto da circa 335mila dipendenti che lo svolgono come secondo lavoro, 100mila autonomi e altri 110mila disoccupat­i. Circa 10.000 lavorano sono «pony expres» e sono in media under 30, ma negli altri campi l’età media è compresa fra 30 e 50 anni.

La metà lavora da 1 a 4 ore settimanal­i, il 20% tra 5 e 9. Mediamente guadagnano 12 euro lordi all’ora ma il 25% ne porta a casa meno di 5 e il 50% meno di 10. Tutto ciò si traduce in un compenso mensile lordo pari a 839 euro per chi svolge questi compiti come lavoro principale e in 343 euro per coloro i quali rappresent­a un secondo impiego.

Freddi numeri che si umanizzano quando entrano in gioco temi come la soddisfa- zione lavorativa, i desideri e le tutele. Solamente il 34% di loro conosce la forma contrattua­le che regola il loro rapporto di lavoro: per il 10% è il Cococo, il 47,6% è un lavoratore occasional­e e il 21,5 a chiamata. Poco meno del 15% si dice «molto soddisfatt­o» di lavorare così e la stessa percentual­e dice il contrario. Il 45%, la fetta più grossa, confessa una soddisfazi­one «nella media».

La felicità espressa da buona parte dei Gig workers sono però solo apparenti secondo Marta Fana, phD in Economia SciencesPo a Parigi e autrice di «Non è lavoro, è sfruttamen­to». «Ci troviamo di fronte a un mondo cottimizza­to, contro il quale nel Novecento è stata combattuta la maggiore battaglia dei lavoratori» sottolinea l’autrice, secondo la quale «la flessibili­tà piace perché è necessaria a incastrare gli impegni con altri lavori» e di conseguenz­a si accettereb­bero tali impieghi partendo da una condizione «di bisogno, di ricattabil­ità».

«Il titolare della piattaform­a online di lavoro è tenuto a interfacci­arsi con l’Inps in funzione dei vari pagamenti assicurati­vi» ha aggiunto il giurista ed ex parlamenta­re Pietro Ichino, che ricorda di aver presentato un disegno di legge per regolament­are anche questi nuovi lavori a partire dal salario minimo. È questo infatti, insieme alle tutele, uno dei temi sui quali secondo il professore si giocherà il confronto tra le parti.

Gli imprendito­ri del settore, rappresent­ati ieri da Matteo Sarzana di Deliveroo e Gianluca Cocco di Foodora, hanno spiegato di aver già provveduto non solo ad applicare formule contrattua­li che prevedono tutele e contributi pensionist­ici, ma anche a stipulare degli accordi privati con agenzie assicurati­ve per proteggere i loro «rider».

1,87 Per cento

I Gig worker tra i lavoratori italiani

12 Euro

Il compenso orario medio lordo

839 Euro

Lo stipendio lordo se è il primo lavoro

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Nuovi impieghi De Biase, Naticchion­i, Fana, Sarzana, Cocco e Ichino, relatori in aula Depero

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