Corriere del Trentino

Ress: «Aquila aggressiva, così puoi battere Milano»

- Daniele Rea © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Tomas Ress, nato a Salorno, VENEZIA bassa Atesina, 38 anni da compiere, ha giocato l’ultima partita della carriera giovedì sera, a Trento, con la sua Reyer. Ress lascia dopo 622 partite in serie A e 2.166 punti a segno con 160 partite di Eurolega e 32 presenze in Nazionale. Otto scudetti, sei Supercoppe, cinque Coppe Italia, una Europe Cup. Tomas, partiamo dall’ultima partita contro Trento?

«Una partita che resterà dentro, perché è stata l’ultima. Mi

sarebbe piaciuto andare avanti. Ma è andata così, alla fine nello sport c’è solo uno che vince».

Ma la stagione della Reyer non si può certo definire negativa

«Direi di no, abbiamo vinto una Coppa europea, abbiamo chiuso primi in stagione regolare, la stagione è stata più che buona. Resta un po’ di rammarico, quello sì». Cosa vi è mancato in quella semifinale?

«Forse un pizzico di convinzion­e in più. Sapevamo cosa

aspettarci con Trento ma non siamo stati in grado di adeguarci alla loro fisicità. E abbiamo pagato».

Finale Milano-Trento: cosa dovrà fare l’Aquila per battere la squadra di Pianigiani?

«Dovrà giocare come ha fatto con noi, con aggressivi­tà e pressione per 40 minuti. Non dovranno snaturarsi. Gli mancherà Flaccadori quindi tutti dovranno dare più del 100%».

Vent’anni di basket, da Bologna agli Usa a Siena fino a Venezia: cosa passa per la

mente a un diciottenn­e di Salorno che parte per gli Stati Uniti?

«Prima di tutto: ma dove sono capitato? Il mio agente all’epoca mi disse che la mia era una scelta dettata per il 94% da stupidità e per il 6% da coraggio. Alla fine però è servito». Come uomo o atleta?

«Tutti e due. Parlavo un inglese ridicolo, mi sono dovuto arrangiare.Gli Stati Uniti mi hanno insegnato tanto: sacrificio, etica del lavoro, rigore, applicazio­ne». Insomma, tutto da imparare in fretta...

«Pensavo di essere già qualcuno, ho capito che ero nessuno. Ho imparato e ho copiato. E ho dovuto copiare bene. Guardavo gli altri e ho preso qualcosa da tutti, compagni di squadra a coach. Un bagaglio che ho

riportato in Italia, più maturo e consapevol­e».

Se chiudi gli occhi qual è la prima immagine che ti appare della tua carriera?

«A Pesaro, con Crespi, avevo 24 anni. A Barcellona in Eurolega chiamò time out e mi ricoprì di rimproveri per un errore non mio. Lo mandai a quel paese. Il giorno dopo ci chiarimmo e mi disse: “Se lo fai ancora finisci in fondo alla panchina e non ti rialzi più. Però intanto dalla prossima volta tu parti in quintetto”. E fu così». L’idea è restare nell’ambiente?

«Sì. Resterò a Venezia, ne abbiamo già parlato, vedremo in che ruolo. Un domani mi piacerebbe allenare, magari i ragazzi».

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L’addio Tomas Ress

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