FESTIVITÀ DI GIUGNO LA PRESENZA REALE DEL CORPO DI CRISTO NELL’OSTIA DAL CONCILIO DI TRENTO (1551)
Molte le ritualità di questo mese legate a fuoco e sole Tra le più note c’è la processione per il Corpus Domini Anche Dante ne parla nel settimo canto del Paradiso Fra le più grandi cerimonie si ricorda quella di Bolzano
Il calendario liturgico segna, nel mese di giugno, un crescendo di feste che partono dalla festività del Corpus Domini per arrivare alla festa di San Giovanni, il solstizio d’estate. È un crescendo di ritualità tutte legate al fuoco e al sole. Sui riti e l’importanza del fuoco per gli uomini abbiamo testimonianze antiche. Ci affidiamo a Vitruvio che nel De Architectura (ca. 15 a.C.) il trattato delle arti, come prima l’architettura, intese come sviluppo e affermazione dell’animale uomo sulla bestialità, il tutto partendo dalla scoperta del fuoco. In un passo leggiamo: «Gli uomini nascevano, per costume antico, come fiere nelle selve, caverne e boschi e passavano la vita nutrendosi con cibo agreste. Poi un tempo in qualche luogo alberi folti per il loro gran numero agitati da tempeste e venti e sortendo lo sfregamento dei rami tra loro fecero scaturire il fuoco, e colà atterriti dalle fiamme impetuose coloro che erano intorno a quel luogo fuggirono. Poi, tornata la quiete, si avvicinarono e capirono il grande beneficio del tepore e conservarono il fuoco. Così riunitisi per consuetudine quotidiana per caso formarono parole ad indicare gli oggetti più usati e diedero inizio a discorsi fra loro… cominciarono poi a cuocer cibi, ad apprestare rami e fronde, a far tetti e a costruire luoghi dove stare e col fuoco a far attrezzi e armi». Tutto ciò perché il fuoco significa vedere, ma anche conoscere ed essere illuminati.
Anche la memoria è una specie di luce che illumina il passato, come i fuochi dei bivacchi delle notti senza luna. Rituali del fuoco sono le «fiammelle» scese sulla testa degli Apostoli e della Madonna alle Pentecoste, i richiami al sole della festa di San Giovanni il Battista, decollato sulla linea dell’orizzonte, o i fuochi rituali del Sacro Cuore, consacrazione della Terra delle Montagne, sia nella sua parte tirolese che in quella trentina. La festa del Corpus Domini si formò nel secolo XII con l’esigenza di consacrare una festa particolare all’Eucarestia. In quel tempo l’antica messa in Coena
Domini del giovedì santo aveva in parte perduta la sua identità, ospitando, al suo interno anche la consacrazione dei santi olii. I fedeli, intenti a meditare sulla Passione del Salvatore, avevano quasi dimenticato, o comunque posto in secondo ordine, l’istituzione del sacramento inteso come transustanziazione dell’ostia e del vino nel corpo di Cristo.
Ben significante a questo proposito uno dei nomi che la lingua tedesca usa per questa festa Antlaßtag che deriva dall’antico tedesco «Antlaz» da «Antlitz» cioè «entseelt», senza anima, il vero corpo di Cristo, non solo il suo simbolo. Un’altra possibile interpretazione si riferisce al verbo «entlassen» perché il Giovedì Santo, data iniziale della celebrazione, venivano liberati (entlassen) i penitenti. È curioso notare come, nella tradizione popolare si parla di un Antlaßei, un uovo che le galline depongono il Giovedì Santo. Questo uovo ha poteri magici e non marcisce mai. In antico questo stesso uovo veniva nascosto dai carpentieri nelle travi del tetto assieme ad un rametto di ruta e serviva a tener lontane le intemperie e a salvare dal fulmine, dalla tempesta e dalla grandine ( a fulgore et tempestate libera nos Domine) e non solo, l’uovo, principio della vita, era paragonato al Cristo e uova, particolarmente grandi, o di struzzo, erano incastonate nei tabernacoli e negli ostensori.
Comunque, tornando al significato della festa del Corpus Domini, la necessità di istituire questa festività era anche collegata all’esigenza, particolarmente sentita nel XII secolo, di riaffermare in chiave apologetica, il significato di fede ed il valore religioso della transustanziazione contro gli errori di Berengario da Tours che nel 1088 giunse a negare la presenza reale del corpo del Cristo nell’ Eucarestia. Il concilio Lateranense del 1215 decretò che la consacrazione nella Santa Messa causava una reale trasformazione del pane e del vino e, per la prima volta, fu coniata la parola transustanziazione.
La presenza reale del Corpo di Cristo nell’ostia vennero definite chiaramente nel secondo periodo del Concilio di Trento, svoltosi negli anni 1551-1552, sessione nella quale si discusse espressamente dell’Eucarestia. Nel cosiddetto «Statuto Sanguinoso» o «dei sei articoli di fede» emanato da Enrico VIII nel 1539 in Inghilterra; la negazione della transustanziazione nella Santa Messa era punita con la pena di morte.
La prima a formulare una proposta specifica per la celebrazione del Corpus Domini fu santa Giuliana di Cornillon o di Liegi (11911258). Ella raccontò di aver avuto una visione in cui le era apparso il Cristo che, indicando un unico punto nero nella superficie piena e luccicante della luna, le avrebbe detto che il punto nero significava l’assenza di una festa particolare per l’Eucarestia. Nel 1236 un sacerdote boemo, Pietro da Praga, che nutriva dubbi sulla transustanziazione, mentre stava celebrando la messa nel Santuario di santa Cristina di Bolsena, vide l’ostia consacrata stillare copiosamente sangue e il sangue lo inondò macchiandogli il corporale. Questo corporale macchiato di sangue venne portato ad Orvieto dove dimorava all’epoca Urbano VI. Il papa incaricò Tommaso d’Aquino a scrivere l’Ufficio con una serie di inni e l’8 settembre 1264 estese la solennità a tutta la chiesa latina con la bolla Transiturus: La solennità si impose però solo con il concilio di Vienna del 1311.
Dante, nel settimo canto del Paradiso così efficacemente e poeticamente sintetizzò il sacrificio del Cristo: «Onde l’umana specie inferma giacque/giù per secoli molti in grande errore,/fin ch’al Verbo di Dio discender piacque/u’la natura, che dal suo fattore/s’era allungata, unì a sé in persona/con l’atto solo del suo eterno amore».
Il miracolo di Bolsena ebbe grandissima notorietà anche per il dipinto di Raffaello Sanzio nella stanza di Eliodoro in Vaticano. Nelle valli ladine come in quelle trentine o nell’Alto Adige si tengono processioni alle quali partecipano tutti i parrocchiani. Sulle vie dove si snoda la processione si ergono cappelline votive e si colgono rami di sorbo e di tiglio in fiore per adornare porte e capitelli. Un tempo, quando le stagioni avevano un senso, al Corpus Domini si mettevano i primi vestiti estivi, come i soldati il due di giugno. Nei primi giorni di giugno si portava il bestiame ai pascoli bassi. Prima di farlo uscire dalla stalla, con una manciata di paglia imbevuta di olio, si ungeva bene bene la groppa di ogni animale. Serviva a farle resistere meglio alle intemperie. A Sant’Antonio da Padova, protettore degli animali, che cade il 13 di giugno, si accendeva un gran fuoco che doveva durare il tempo di tredici rosari.
A Trento si è sempre svolta una magnifica processione con grande ritualità nella splendida cornice delle vie e dei palazzi attorno al Duomo. Fra le più grandi processione del Corpus Domini si ricorda quella di Bolzano. Notizie se ne hanno dal 1543 in un documento originale ritrovato nella biblioteca di Castel San Zeno a Merano. Una volta, dal 1421 al 1753, la processione si teneva, in forma solenne, ogni tre anni. Il documento di castel San Zeno segna anche il rituale e l’alternarsi dei quadri viventi che facevano parte integrante della processione. Figura principale erano San Giorgio e la vergine Margherita. Il ruolo di questi personaggi era scelto fra le più rappresentative famiglie della città. La corazza e l’armatura di San Giorgio erano quelle d’oro dei Völs Colonna di Castel Presule a Fié. Margherita portava un abito di seta ricamato di perle e pietre preziose. Il culmine della processione era l’uccisione del drago da parte di San Giorgio. Il drago morente spruzzava sangue e sprigionava fuoco dalle sue fauci, mentre Margherita poggiava il suo ben calzato piedino sulla groppa del drago. Riti di fuoco e di fiamme, di sangue e di purificazione, ricerca dei fuochi e di chi li ha accesi per far luce nella tradizione.