De Lucchi, il paesaggio e gli oggetti da decifrare
Lectio di De Lucchi domani al Muse, l’architetto ha ideato la Tolomeo e altri progetti nel mondo
«Paesaggio per me vuol dire fondamentalmente distanza, la distanza con cui noi decidiamo di guardare le cose. Se è una distanza grande vediamo le montagne, le cime innevate, i boschi, le rocce che spuntano dai boschi. Se siamo invece dentro le montagne stesse vediamo i sentieri, gli alberi, i sassi, cioè tutto quello che compone il paesaggio, che è un paesaggio a sua volta, decifrato però a distanza diversa». È con questo sguardo non convenzionale sul significato, oggi spesso abusato, della parola paesaggio che l’architetto Michele De Lucchi (Ferrara, 1951) ci porta al cuore di Paesaggio fa rima con saggio, il tema che approfondirà nella
lectio in programma domani alle 17.30 al Muse di Trento, sala conferenze. Organizzata dalla step-step Scuola per il governo del territorio e del paesaggio, la lectio sarà introdotta da Giuseppe Varchetta, fotografo e autore di Schegge di memoria. Michele De Lucchi
(Corraini Edizioni). All’incontro interverranno Gianluca Cepollaro, direttore di Step; Michele Lanzinger, direttore del Muse; Susanna Serafini, presidente dell’Ordine architetti della provincia di Trento. De Lucchi è atteso poi il 24 ad Arte Sella per un duplice evento: alle 11 a Villa Strobele l’inaugurazione della sua opera Dentro fuori e alle 15 a malga Costa per una lectio in materia di architettura.
Noto a livello internazionale per aver disegnato lampade ed elementi d’arredo per le più conosciute aziende italiane ed europee come Artemide, Olivetti, Alias, Unifor, Hermès, Alessi, De Lucchi ha progettato e ristrutturato edifici in tutto il mondo, anche di alto vacontare lore simbolico come il Ponte della Pace a Tbilisi. Per il 2018 è direttore di Domus.
Architetto De Lucchi, partiamo dal tema della lectio: Paesaggio fa rima con saggio. In che senso?
«È il titolo che avevo inventato per un libretto che volevo scrivere per i bambini, per rac- loro quanto importante è il paesaggio. Ho ancora intenzione di perseguire questo progetto, che si basa su una serie di rime con la parola paesaggio. Ci sarà ortaggio, per esempio, e disegnerò allora degli ortaggi, ma anche miraggio, ed ecco l’immagine del deserto con le palme, e ancora la rima con coraggio, quello di salvare le foreste. Userò l’idea sottesa a questo libricino come filo conduttore della mia conferenza, che svolgerò con questi sottotitoli, e a ogni sottotitolo seguirà una riflessione, un progetto, un fenomeno in corso nel mondo in questo momento sul tema del paesaggio».
Nell’incipit ci ha spiegato che il paesaggio è la distanza che noi scegliamo per noi stessi dalla quale guardare le cose. Questo concetto riguarda anche il paesaggio interiore?
«Esatto. Questa è anche una maniera per definire chiaramente anche quello che è il paesaggio interiore legato al proprio parere e alla capacità di considerare e di conoscere pure i pareri degli altri. Il paesaggio quindi non è solamente una propria posizione predefinita, ma è la capacità di tener conto dei pareri e delle opinioni di tante persone, e anche questo, appunto, è un problema di distanza. Se siamo troppo dentro noi stessi vediamo solo noi stessi, se ci allontaniamo prendiamo in considerazione anche le persone che compongono l’umanità».
Nella sua estetica gli oggetti sono fondamentali. Che ruolo hanno nella determinazione dello spazio?
«Questa domanda introduce l’argomento che mi ha portato a chiarire le cose che sto ora raccontando. Noi uomini, homo sapiens come siamo, riconosciamo e valutiamo il mondo attraverso gli oggetti, che sono di scala differente, distinguibili tra quelli che hanno un interno e quelli che non lo hanno. In architettura anche grattacieli, edifici, case di campagna sono degli oggetti, e in relazione alla distanza da cui li guardiamo li riconosciamo più o meno integralmente nella loro forma e funzione. Il fatto di portare tutte le cose che noi vediamo, indipendentemente dalla loro grandezza, alla dimensione di oggetti ci aiuta a dare un valore alla cose e ad attribuire ad esse un significato. Ciò non riguarda solo le architetture ma anche montagne, boschi, isole, mare, continenti e tutto il resto».
Quali indicatori ci guidano nel creare delle priorità all’interno del significato di cui parla?
«Ci aiuta, per prima cosa tutto quello che ha un senso, quello che non lo ha non merita neppure di ingombrare la crosta terrestre. Può essere un senso storico, funzionale, pratico, tecnologico, evolutivo e così via. Non bisogna dimenticare il fatto che noi umani usiamo gli oggetti per proiettare la nostra immaginazione. Gli oggetti sono lo strumento fondamentale della comunicazione, senza di loro non sappiamo comunicare, capirci. Ad esempio quelli che sono nelle nostre case rappresentano il palcoscenico attraverso cui noi creiamo l’ambiente che meglio esprime noi stessi».
Che ruolo ha il paesaggio nell’architettura di oggi?
«Il paesaggio naturale è fondamentale perché ad esso facciamo riferimento per esprimere il senso di purezza, di naturalità, di selvaggio, di tutto quello che riguarda il mondo dell’uomo senza l’intervento dell’uomo. È quanto più ci spaventa perché è più sotto attacco in questo momento, in pericolo di sopravvivenza. C’è poi il paesaggio artificiale fatto dall’uomo, che è quello che determina il senso dell’esistenza sulla terra, e di conseguenza la civiltà dell’uomo. Un paesaggio artificiale sporco, mal ridotto, distrutto, maltrattato è senz’altro il presagio di una civiltà decadente e senza prospettive per il futuro. Oggi non ci sono più le città inserite in grandi paesaggi naturali, ma pezzi di paesaggio naturale dentro le grandi città. Si è capovolta quindi la situazione e noi uomini siamo sempre più responsabili della salvaguardia di tutto questo».