S
e un osservatore esterno dovesse leggere la sua disamina relativa allo stato in cui versa il Trentino, penserebbe di trovarsi davanti a una sorta di Paese del Terzo del mondo. Altro che isola felice (peraltro mai esistita). I suoi ragionamenti sono stimolanti, e necessari per non abbassare la guardia, ma si deve anche prendere atto che pur nelle difficoltà il Trentino se la passa meglio di altre realtà. Insomma, guai cantare vittoria ma nemmeno celebrare prematuri funerali. Che ci debba essere una volontà di cambiare è inevitabile dopo la scoppola elettorale del 4 marzo scorso. Invece stiamo assistendo, soprattutto nel centrosinistra autonomista, a una recita a dir poco scoraggiante. Non c’è stata una vera presa d’atto della sconfitta e una pronta ripartenza verso nuovi lidi. L’atteggiamento che traspare è quello di cercare sempre alibi, di dare la colpa agli elettori che non hanno capito (invece stavolta hanno capito fin troppo bene), di affermare come l’onda nazionale non travolgerà il Trentino. Anziché voltare pagina, si preferisce difendere l’indifendibile diffondendo così un’immagine debole della coalizione. Le elezioni sono alle porte e il tempo stringe: meglio allora concentrarsi sulle questioni che contano altrimenti il rischio è di vanificare il lavoro fatto, tanto o poco che sia.