Popolo autoctono, un falso mito che viene sfatato
L’autrice di «Le scarpe di Klara» domani alla rassegna Trentino Book Festival di Caldonazzo
Se vuoi conoscere davvero qualcuno, dicono gli inglesi, cammina per un miglio nelle sue scarpe. Così Le scarpe di
Klara della scrittrice Wolftraud de Concini accompagna il lettore alla scoperta della vita della giovane Klara Beck attraverso gli anni sereni della gioventù passata in una famiglia della borghesia ebrea benestante a Pilsen, città della Boemia occidentale, passando per la scuola di fotografia a Vienna e il matrimonio con l’architetto Adolf Loos, le difficoltà e tribolazioni all’inizio della Seconda guerra mondiale alla persecuzione, essendo lei ebrea, fino alla morte nella lontana Lettonia. Partendo da un paio di scarpe sporche e logore, l’autrice percorre le tappe più significative della vita di Klara Beck, nata il 4 novembre 1904 a Pilsen (oggi Repubblica Ceca) e morta massacrata verso la metà di gennaio 1942 in un bosco vicino a Riga. Basandosi parte su fatti reali e parte sull’immaginazione, racconta in brevi capitoli, quasi scene teatrali, delle piccole storie in cui riecheggia la grande storia.
Wolftraud Schreiber de Concini, nata nel 1940 a Trutnov, in Boemia (Repubblica ceca), cresce in Germania e il tedesco è la sua lingua materna, ma vive dal 1964 in Trentino e qui ha portato avanti la sua attività di traduttrice, giornalista, fotografa, scrittrice e studiosa di tradizioni popolari. Domani, alle 19, sarà ospite del «Trentino Book Festival» al Blue Coffee Bar di Caldonazzo per presentare la sua ultima opera assieme alla studiosa di letteratura tedesca Paola Maria Filippi.
«L’idea per questo libro mi è venuta mentre ero a Pilsen (Cechia) con una borsa di studio di cinque mesi nel 2015 — racconta l’autrice — quell’anno la città era Città europea della cultura e visitandola ho avuto l’occasione di vedere alcuni appartamenti di benestanti famiglie ebree e il cimitero con le tombe della famiglia Beck. In quel periodo tenevo un blog e un giorno ho capito che da quelle suggestioni poteva nascere un libro». Un’opera che, seppure agile e relativamente breve, ha dietro di sé un lungo lavoro di ricerca e letture.
«La memoria per me è sicurezza. Così come nel mio primo libro Boemia andata e ritorno, la ricerca storica fa parte del mio percorso. Lavorare sulla memoria collettiva mi fa sentire meglio come persona, mi sento più io». Anche Wolftraud de Concini, come la protagonista del suo romanzo, è stata una giovane donna boema costretta a cercarsi una patria che le veniva costantemente sottratta. «Nei ricordi trovo una patria, io che dalla mia sono stata sradicata. L’8 maggio 1945, quando in Boemia è finita la guerra, i tedeschi della Boemia sono stati cacciati dai Cechi. Malgrado questo però non ho mai provato odio per chi ci ha privato della casa e di tutto il nostro mondo».
La presentazione sarà accompagnata da alcune letture di Annalisa Morsella tratte dal libro e selezionate dall’autrice. «Ho scelto l’inizio perché anticipa la fine. Poi un brano in cui è descritta la bella vita a Karlsbad, che per contrasto diventerà la vita della persecuzione. Infine la descrizione della precisione tedesca attraverso il racconto dei treni che trasferivano gli ebrei a Terezín da Pilsen e da Praga. Credo che questa storia sia significativa perché questa realtà non è conosciuta in italia e nemmeno in Boemia. Raccontare è conservare la memoria, conservare l’identità».