Piazza Dante controllata dai pusher «militari» Una guerra tra bande
Incarichi precisi, una gerarchia ferrea e alle spalle un’organizzazione quasi militare della piazza. Sono i retroscena dell’indagine della squadra mobile che ha sgominato una vasta organizzazione di spacciatori. Nell’atto d’accusa il giudice descrive i ruoli e i presidi «militari» nella piazza per controllare la concorrenza.
TRENTO Ebuka Joshua Onomajuru, Paul Betthomas e ancora David Robert. Sono solo alcuni nomi, spacciatori, ma soprattutto controllori della piazza con incarichi ben precisi e una gerarchia ferrea, militaresca, avevano il preciso compito di presidiare la strada, in particolare i giardini di piazza Dante, ma anche il centro storico, i centri commerciali di via Brennero e le stazioni ferroviarie di Rovereto, Mezzocorona ed Ala. Si dividevano in gruppi di dieci, quindici persone, si posizionavano in punti strategici con una mission precisa: «presidiare in piazza le sostanze stupefacenti utilizzate dai correi». L’obiettivo era il «pieno controllo del territorio che si manifestava — scrive il giudice nelle 782 pagine di ordinanza — con un’indubbia superiorità numerica rispetto alla concorrenza di etnia magrebina e, all’occorrenza, sfociava in veri propri scontri fisici per rimarcare il territorio».
Una guerra tra bande. Era un presidio organizzato quasi in modo militare, per sfuggire anche al controllo delle forze di polizia, quello della vasta organizzazione di spacciatori, perlopiù di origini nigeriane (diversi i richiedenti asilo) sgominata dalla squadra mobile della polizia. Oltre un anno di indagine ha svelato uno spaccato importante dello spaccio di sostanze stupefacenti in Trentino, cocaina, hashish ed eroina, e ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di ben 54 persone. Quattordici gli arresti effettuati dalla polizia, di cui 12 profughi. Una pagina amara per la macchina dell’accoglienza trentina. Nell’atto d’accusa firmato dal giudice Claudia Miori vengono tracciati i contorni di organizzazione quasi «militaresca» della banda con ruoli ben precisi all’interno dei diversi gruppi, uniti però da «un vincolo di mutuo soccorso. I problemi legati alle vicende giudiziarie — scrive il giudice — cui erano esposti gli affiliati venivano affrontati mediante l’utilizzo di introiti derivanti dall’attività illecita». I soldi venivano usati per pagare le spese legali. Il magistrato parla di «identità di interessi» e «programma comune» che non prevedeva, non necessariamente, la conoscenza reciproca degli spacciatori. Lavoravano, però, per un stesso fine. «Un modus operandi che assicurava all’organizzazione guadagni giornalieri di migliaia di euro», poi «equamente divisi a seconda dei ruoli» tra rifornitori e spacciatori.
Poi c’erano i viaggi in treno, senza biglietto, con piccole dosi di droga per sfuggire i controlli. Verona -Trento e ritorno, più viaggi al giorno per portare lo stupefacente in Trentino. Poi c’erano i viaggi a Ferrara per acquistare la droga proveniente dall’Olanda grazie a corrieri «ovulatori». Infine c’erano le donne che non rivestivano un ruolo di secondo piano. Secondo le indagini della squadra mobile di Trento, che per mesi ha seguito passo dopo passo, attraverso intercettazioni telefoniche, appostamenti e inseguimenti, le mosse dell’organizzazione, le donne, mamme con bimbi in fasce e carrozzine, si occupavano di portare la droga dagli appartamenti dove veniva smistata alle piazze centrali della città. Insospettabili — per loro era più facile sfuggire i controlli — nascondevano la droga nelle carrozzine e nelle fasce tradizionali usate dalle donne africane per portare i bebè. Attento anche nelle comunicazioni, il gruppo di spacciatori utilizzava solo whatsapp per le comunicazioni usando sim intestate a nomi fittizi che venivano sostituiti con regolarità. Ieri sono iniziati i primi interrogatori, ma gli indagati hanno scelto il silenzio.
Il giudice Gruppi di spacciatori legati da un vincolo di mutuo soccorso