IL PERICOLO DEL BONUS AI DOCENTI
La giunta provinciale, con le delibere 981 e 1064, ha dato attuazione alla valorizzazione professionale del personale docente delle istituzioni scolastiche, destinando risorse finanziarie ad hoc. Si tratta di qualcosa di analogo al cosiddetto «bonus merito» introdotto, a livello nazionale, dalla legge sulla «buona scuola». Il principio è che gli insegnanti migliori godano di un trattamento economico aggiuntivo. Secondo l’articolo 87-bis della legge provinciale numero 5 del 2006 (come modificata nel 2017) i criteri da prendere in considerazione per valutare i docenti sono: la qualità dell’insegnamento, l’assolvimento di responsabilità di carattere organizzativo e didattico, la formazione continua e lo sviluppo professionale. Lo snodo delicato di ogni attività di valutazione sta nell’individuare i parametri per misurare il «merito». La citata delibera 981/2018 ha approvato la metodologia di valutazione individuando degli appositi «indicatori». Il criterio della «qualità dell’insegnamento» può essere misurato ricorrendo a parametri tipo l’innovazione didattica (utilizzo di strategie quali il cooperative learning o la flipped classroom); l’inclusione e l’accoglienza (inserimento di ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento); il successo formativo e scolastico degli studenti (rilevando gli esiti degli alunni in entrata e confrontandoli con quelli in itinere per vedere se ci sono miglioramenti); l’attuazione del progetto «Trentino Trilingue», e così via.
Nel giugno di dieci anni fa è venuto a mancare Mario Rigoni Stern (Asiago 1921-2008). Combattente, scrittore, difensore della montagna, Rigoni Stern ha narrato — nelle sue molte opere — la vita di montagna, quella caratterizzata da semplicità, saggezza, fiducia nel domani nonostante le difficoltà dell’oggi. Nei suoi libri ha rievocato episodi curiosi, esperienze collettive, persone scomparse. I piacevoli incontri davanti al focolare, la malga e l’alpeggio, gli emigranti, i mestieri di un tempo, il trascolorare delle stagioni, gli animali e la caccia, la penuria e la sofferenza durante la guerra, l’allegria di chi sa vivere anche con poco: Mario Rigoni Stern è riuscito a «celebrare» il miracolo della vita, la vita di tutti coloro che, in un passato lontano, hanno sofferto, pregato, sperato. Le narrazioni dell’autore — tenute insieme dal filo della memoria — costituiscono una «storia naturale», concreta e compatta, che, a tratti, assume i caratteri della coralità. Come ha scritto il germanista Claudio Magris «Il sergente nella neve è un libro individuale e corale, che racconta la storia di quell’uomo — di quel sergente degli alpini, della sua odissea non meno epica di quella omerica — e di tutti i suoi compagni, tornati o sepolti in quella neve e dell’Italia di quella tragedia, della vergogna che ha mandato a morire tanti suoi figli e della gloria con cui essi hanno fatto fronte al loro destino, del valore col quale hanno reso onore alla patria disonorata dal regime fascista». Il disonore fascista è stato bilanciato dall’eroico coraggio del sergente maggiore Mario Rigoni Stern, che, nella tragica ritirata dell’esercito italiano in Russia, tra la fine del 1942 e gli inizi del 1943, riuscì a guidare un gruppo di soldati, ormai allo sbando, fuori dalle linee di fuoco. Tutte le opere («Il bosco degli urogalli», «Uomini, boschi e api», «Inverni lontani», «Sentieri sotto la neve», per ricordarne alcune) successive al «sergente nella neve» rappresentano un mondo caratterizzato da cose semplici, alimentato dal rapporto memoria-natura che è il vero nucleo della poetica di Rigoni Stern, il quale — ha affermato lo scrittore Ferdinando Camon — «era un narratore grandissimo, aveva la grandezza che hanno i solitari; era uno scrittore classico, dalla visione lucida e dalla scrittura semplice ma potente. Aveva un carattere buono e mite; se ne fregava dei convegni e delle società letterarie». Il filosofo Massimo Cacciari ha sottolineato che Mario Rigoni Stern è «un grande poeta universale; il poeta della fatica nel paesaggio, del rapporto ontologico tra lavoro e natura. Parlando di lui andrebbero citate le “Georgiche” virgiliane, nel loro aspetto più spoglio di retorica, più pudico e aspro insieme. Opere in onore di questa grande, misera creatura che è l’uomo». Carlo Andreatta, ROVERETO
Caro professor Andreatta,
Il suo ricordo di Mario Rigoni Stern è figlio di una conoscenza molto profonda e articolata. Non arrivo a tanto, ma proprio quest’anno ho partecipato a una serie di incontri in preparazione degli esami di maturità. Con un gruppo di studenti abbiamo discusso, tra le altre cose, anche dell’eredità morale e culturale del noto scrittore di Asiago a dieci anni dalla morte. In tali confronti sono emerse molte di quelle sfaccettature che lei ha ben descritto e che aiutano a conoscere meglio lo scrittore.
Vorrei qui evidenziare un passaggio che Rigoni Stern ha dedicato all’importanza della memoria, del ricordare per evitare di ripetere gli errori del passato. La modernità, tanto importante ma anche tanto invasiva, fatica a ragionare su ciò che è stato. A volte è pure difficile, perché implica un mettersi in discussione. Eppure la memoria è un pilastro della democrazia, della crescita civile di una società. Ecco come la fotografava Rigoni Stern: «La memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano possono ritornare: è il testamento che ci ha lasciato Primo Levi». Una grande lezione.