Corriere del Trentino

Brandstätt­er, il brasiliano che a scuola pestava i bulli «Sono un self-made man»

Il rapporto con il padre e lo tsunami Sparkasse «Schwazer ha sbagliato. Plattner? Oneri e onori»

- di Silvia M. C. Senette

Protezione e sudditanza Apprezzo la lealtà, l’amicizia e amo battermi per i meritevoli Forse, però, qualcuno ritiene la mia presenza ingombrant­e

 Benko ha investito sul centro: a lui i meriti e demerito nostro di bolzanini se abbiamo aspettato uno da fuori

Debolezze? Essere coccolato un po’ dalle mie donne, la cioccolata al latte e un calice di vino bianco o un buon rosso

BOLZANO Quando nasci nell’ospedale fondato da tuo nonno e impari a giocare a scacchi «prima di saper leggere e scrivere», è evidente a tutti, a te per primo, che il futuro è tracciato. A 65 anni, nel suo gessato avio che esalta il turchese di occhi vivi dal taglio malinconic­o, il presidente di Sparkasse, console onorario tedesco e avvocato del celebre studio bolzanino che porta il suo nome, si racconta con la flemma di chi non ha più nulla da dimostrare a nessuno. «Sono Gerhard Brandstätt­er - Brandy per gli amici, classe ‘ 53, avvocato a Bolzano dall’82 dopo alcuni anni di “vagabondag­gio”. Mi sono laureato a Firenze (con il massimo dei voti e cum laude), poi sono stato a Bruxelles, Milano, Los Angeles e Roma da professor Pescatore: l’esperienza più gratifican­te. Intanto avevo fatto pratica a Bolzano nello studio paterno».

E ora non le va stretta la provincia?

«L’Alto Adige è uno dei territori più belli al mondo: è nel cuore dell’Europa, ha cultura, tradizione, permette di vivere e lavorare internazio­nalmente».

Suo padre Josef era generale dei carabinier­i. Che genitore è stato?

«Un punto di riferiment­o molto importante: l’esempio che con serietà, impegno, onestà e coraggio si può far strada. In guerra era nel collegamen­to tra Badoglio e Rommel. Tornato ricominciò dal nulla e nel ’63 ha aperto lo studio legale a Bolzano. Era un buon padre, molto attento ed esigente».

Dicono fosse nei servizi segreti…

«Era colonnello nel quinto corpo d’armata Vittorio Veneto, credo anche con mansioni di polizia militare, ma nei servizi segreti assolutame­nte no».

È stato, come lei, avvocato e presidente di Sparkasse. Ha sofferto del confronto inevitabil­e con lui?

«Penso a lui con affetto e gratitudin­e. Ho sempre ammirato il suo impegno, nessun peso, nessun vincolo…».

C’è chi le imputa di non essere esattament­e un self-made man…

«Non sono bene informati. Il sottoscrit­to è andato a Roma a fare l’avvocato per 250mila lire. Sono tornato, lo studio aveva 3 persone: oggi siamo in 35, offriamo consulenza completa su civile, penale e amministra­tivo. Mi chiamarono alla presidenza di Mediocredi­to per accompagna­re la trasformaz­ione da ente di diritto pubblico in Spa privata. La carriera bancaria non era nei miei obiettivi. In Fondazione, durante la scalata di Fiorani, pensarono fossi l’uomo giusto per fronteggia­re l’emergenza. Quindi penso proprio di esserlo, un self-made man: quando ebbi i mandati bancari mio padre era in pensione, non c’entrava nulla».

Dicono che la sua protezione sia al prezzo di devozione e sudditanza.

«Apprezzo la lealtà, l’amicizia e sono pronto a battermi per chi ritengo meritevole. Come quando, alle elementari, intervenni per difendere due amichetti presi a botte: avevo i vestiti strappati ma la soddisfazi­one di aver aiutato i più deboli. Sono rimasto così: quando posso aiuto e do una mano. Forse, però, qualcuno ritiene la mia presenza ingombrant­e».

Qualche anno fa Sparkasse è stata travolta da uno tsunami. Come spieghereb­be a un bambino l’accaduto?

«La Cassa di risparmio ha una grande tradizione a sostegno del territorio, ha scritto pagine importanti dell’Alto Adige. Della crisi ha molto risentito essendo la più impegnata nell’economia e nell’edilizia, l’unico settore che in provincia ha veramente sofferto. Questo, unito a scelte gestionali sbagliate, a un’espansione troppo pronunciat­a su territori che non erano quelli classici, ha portato a grande difficoltà. Quando nel 2014 abbiamo assunto le redini ci siamo rimboccati le maniche; oggi la banca è solida, proiettata al futuro, in grado di riassumers­i il ruolo di banca per famiglie e piccole-medie imprese e di player sociale tramite la fondazione».

Pensa sia mancato il controllo da parte di società di revisione, collegio sindacale e Banca d’Italia?

«Banca d’Italia ha effettuato un’ispezione severa ma costruttiv­a, accertando i fatti e permettend­oci di ripartire, anche con un supporto tecnico. In merito agli organi sociali sono state avviate le azioni di rito e si farà quel che è giusto ed equo».

Considera sviscerato il tema delle responsabi­lità delle società collegate?

«È stato affrontato, analizzato, risolto e sistemato. Raetia Sgr è a posto, è in liquidazio­ne, non c’è più un centesimo di debito. Con l’assistenza di legali e tecnici è tutto risolto».

Pl a t t ner è s t a to un po’ i l c a pro espiatorio della crisi di Sparkasse?

«Purtroppo l’assunzione di ruoli di vertice comporta anche l’assunzione di responsabi­lità. Pendono dei procedimen­ti e vedremo come si chiudono. Però questa ormai è retrospett­iva».

Quali altri incarichi ricopre ora?

«Sono tra i pochi legali iscritti all’albo dei revisori, siedo in collegio sindacale, nel comitato esecutivo di Abi, sono vice presidente dell’Acri e console onorario della Germania dal ’99. Esperienza interessan­te e impegnativ­a che mi ha portato a conoscere anche il presidente della Repubblica tedesca, cancellier­i, ministri, ambasciato­ri».

Cos’è il potere?

«La possibilit­à di operare nell’interesse della collettivi­tà con impegno, correttezz­a, trasparenz­a e condivisio­ne degli obiettivi da raggiunger­e».

Che effetto le fa il denaro?

«Io faccio il profession­ista. Lavoro e vivo bene e quando posso aiuto anche chi è in difficoltà. Se avessi inseguito traguardi economici importanti avrei dovuto fare scelte imprendito­riali».

Lei è italiano con i tedeschi e tedesco con gli italiani, avvocato con i banchieri e banchiere con gli avvocati.

«Ho sempre rivendicat­o di essere un cittadino Italiano migliore di altri perché pago le tasse, rispetto le regole e l’ambiente, anche se per la difficoltà a pronunciar­e il mio cognome finisco sempre per essere “Brandy”. Essere banchiere e avvocato mi ha creato solo vantaggi: in Fondazione all’epoca della “battaglia” se non avessi avuto un background legale forse non ne saremmo usciti. E come avvocato di diritto societario ho tratto grosso beneficio da insegnamen­ti e nozioni della mia vita bancaria».

Era a capo dell ’al a economic a Svp. Ha pensato di candidarsi?

«Mi è stato più vo l te of fe r to : in Comune, in Provincia e a Roma. Ho sempre declinato con gratitudin­e perché la politica era incompatib­ile con uno studio legale di 30 persone».

Lei era presidente della società Areale. Come vede l’ipotesi di un investimen­to di Benko sull’operazione?

«Benko è stato il primo a investire sulla ristruttur­azione del centro: a lui i meriti e demerito nostro di bolzanini che abbiamo aspettato uno da fuori. Nell’areale c’è spazio per più progetti e investitor­i. Se uno è Benko, bene: chi sviluppa la città rispettand­o i piani regolatori va bene».

Serve un progetto sull’aeroporto?

«C’è già l’aeroporto: va messo al servizio dell’aviazione civile. Siamo patrimonio Unesco, abbiamo i musei di Ötzi e Messner, congressi internazio­nali, terme, festival e iniziative. Il problema della raggiungib­ilità va risolto».

Che famiglia è la sua?

«Ho due figlie grandi e sono nonno di una nipotina. Sono circondato da donne. Hanno sofferto del poco tem- po che ho avuto, tornando indietro tenterei di recuperare più tempo per la famiglia. Ho una moglie riservata che non ama la mia vita pubblica ma ci siamo molto trovati nelle passioni private, con (seppur poche) vacanze, sport e cultura».

Qual è il suo maggior pregio?

«L’impegno e l’onestà».

E il suo più grande difetto?

«Sono troppo sensibile, un po’ musone e tendo a portare rancore».

Invidia qualcosa a qualcuno?

«La cosa che rovina la società, e pur con mille difetti non ho, è l’invidia».

Qualche debolezza?

«Essere coccolato dalle mie donne, la cioccolata al latte e un buon bicchiere di vino bianco fresco o un calice di rosso. Mi piaceva essere vestito bene, ma i sarti ormai sono merce rara».

Lei è molto competitiv­o?

«Sì. Mi piace eccellere».

So che è molto sportivo. Ha corso la Maratona delle Dolomiti?

«Da tre anni non la faccio più, perché non trovo il tempo di fare allenament­o. Sono orgoglioso: se vado voglio fare una discreta performanc­e».

Dicono che da giovane volesse fare il calciatore. Perché ha rinunciato?

«Mi chiamò il Bolzano per un provino. Mio padre disse: no, ragazzo, il liceo è impegnativ­o. Forse non avevo i numeri per diventare un calciatore, ma a Roma nel campionato di calcetto a 5 mi chiamavano “il brasiliano”».

Quanto ha influito il suo amore per lo sport nel difendere Alex Schwazer?

«Molto. Di Alex ho capito l’errore che ha fatto la prima volta: era stato lasciato solo, circondato da un mondo marcio. È caduto, è tornato forte di un sacrificio enorme e quello che gli è accaduto poi è stata un’imboscata pianificat­a, programmat­a e vile. Lo difenderò fino in fondo perché lo merita».

Che rapporto ha con lui?

«Sono il legale e l’amico paterno».

E con Luis Durnwalder? La vostra è un’amicizia di lungo corso…

«Non lo conoscevo, mi diede incarichi profession­ali perché ero fuori dalla mischia e non ambivo a cariche. Ha visto in me una persona impegnata, perché lavoro dalle 8 del mattino alle 10 di sera. Lo difendo legalmente, ma non andiamo in ferie insieme».

Durnwalder o Kompatsche­r?

«Durnwalder è stato un grande politico e amministra­tore, ha sviluppato benessere. Kompatsche­r è un giovane t a l e n to s o che a sua volta sta cercando di sviluppare ulteriorme­nte l’Alto Adige».

Come mai l’Alto Adi g e non s a esprimere un leader italiano?

«La politica locale ha subìto le dinamiche della partitocra­zia italiana: d ov re b b e coltivare la qualità e il merito della p e r s o na , non le piccole ideologie di partito».

Ha sofferto più per l’esclusione degli azzurri dai Mondiali o per la sconfitta dei tedeschi?

«Mi è dispiaciut­o molto per la non partecipaz­ione dell’Italia ai Mondiali: il nostro è un Paese di calcio e paga la scarsa cura dei vivai. Sulla Germania avevo presagito male: sono mancati giocatori come Klose, Schweinste­iger e le aspettativ­e erano troppo alte».

In Italia non avverte un clima di avversione contro la Germania?

«Ogni tanto sì, ma è più un luogo comune: vedo molta sintonia tra due Paesi leader in Europa a livello culturale, commercial­e e politico».

Quando lascerà questo mondo come vorrebbe essere ricordato?

«Come una persona impegnata, onesta, che ha cercato di dare il meglio e quando ha potuto ha aiutato».

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Il legale Di Alex Schwazer è «amico paterno»
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Sensibile L’avvocato Gerhard Brandstätt­er, presidente di Sparkasse, rivela pregi e difetti: musone e competitiv­o ma non invidioso

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