La scuola di Bussetti: correttivi, non rottura
Tante emergenze investono il mondo della scuola. Il nuovo ministro Bussetti ha esposto un’ampia carrellata di intenti nel corso della sua audizione davanti alle Commissioni Cultura di Camera e Senato tenutasi mercoledì scorso, dichiarando l’intenzione di lavorare con responsabilità, impegno, dedizione e passione.
Ha illustrato a più riprese il compito della scuola, insieme con il sistema dell’università e della ricerca, nel contributo che offrono alla crescita sociale e al futuro della nazione. Ha riconosciuto l’importanza cruciale della formazione, nell’ottica dell’educazione permanente e dell’orientamento, in un contesto europeo e internazionale.
Enfasi è stata posta da Bussetti sulla scuola inclusiva e sull’integrazione (handicap, bisogni educativi speciali), prevedendo indicatori per misurare la qualità stessa dei processi di inclusione, e considerando il disegno di legge numero 66 del 2017 che promuove la partecipazione della famiglia e delle associazioni. In proposito, l’accettazione delle differenze (vedi i Disturbi specifici di apprendimento) non dovrebbe implicare una patologizzazione delle peculiarità.
Il ministro ha espresso l’intenzione di rivedere il sistema di reclutamento dei docenti e di valorizzarli. Oltre all’aggiornamento e alla cura per gli insegnanti di sostegno, citati nell’audizione, sono da attuare misure atte a fare in modo che la carriera di insegnante non sia una scelta di ripiego, fatta da laureati che non hanno una preparazione pedagogica specifica.
Bussetti riconduce alla rottura del patto formativo fra famiglie e scuola la situazione di disagio nei rapporti fra le varie parti, che arriva perfino a violenze e minacce. Al docente riconosce il ruolo di educatore posto alla base dello sviluppo e della crescita degli allievi e chiede il dovuto rispetto.
Valorizzare la dignità degli insegnanti implica migliorare il loro status, anche economico. È il caso di far presente a chi governa la scuola che i docenti saranno meglio in grado di gestire le problematiche educative se la loro formazione iniziale non sarà solo disciplinare e teorica, ma anche pedagogica e pratica (tirocinio sul campo). Il lungo precariato e l’incertezza normativa creano frustrazione. Certo non aiutano la pratica della chiamata diretta, nè quella dei «bonus merito» (legge numero 107 del 2015), elargiti a una piccola percentuale prestabilita di persone, con criteri difficilmente individuabili e ancor più difficilmente applicabili, con procedure non sempre trasparenti, e con il rischio di alimentare il servilismo. Di non facile soluzione sotto l’aspetto economico, anche se urgente, è il proposito di intervenire sull’edilizia scolastica e sulle infrastrutture tecnologiche.
Apprezzabile è l’impegno ministeriale dichiarato per formare cittadini responsabili e consapevoli, educando alla cittadinanza attiva fin dal primo ciclo. Non basta però coinvolgere le associazioni magistrati, i tribunali e le realtà territoriali; in primo luogo serve introdurre corsi di educazione civica per i futuri insegnanti all’università.
Il nuovo titolare del Miur, cominciando a tracciare gli obiettivi a medio e lungo termine, sembra non aver intenzione di eliminare le prove Invalsi, come molti sperano, ma i tentativi di standardizzazione della scuola impoveriscono l’apprendimento. Fra le strategie da adottare nell’ impianto del sistema scolastico si dovrebbe, finalmente, in questa legislatura, introdurre anche maggiore flessibilità nei percorsi delle scuole secondarie superiori, prevedendo l’opzionalità di alcune discipline da approfondire e collocando così in un quadro più idoneo anche le iniziative di alternanza scuola-lavoro. Il ministro non ha spiegato come intende recuperare fondi per istruzione e ricerca, ma ha dichiarato di voler accedere a tutte le fonti di finanziamento, comprese quelle europee, nelle quali, si sa, l’Italia al momento non si avvale abbastanza.
L’approccio di Bussetti non si pone come rottura, ma possiamo attenderci profondi correttivi alla cosiddetta «buona scuola». La scuola non dovrebbe essere oggetto di lotte di parte o di risse ideologiche, richiede possibilmente l’impegno di tutti i protagonisti: dal ministro ai responsabili della politica scolastica, insegnanti, studenti, famiglie, società, gruppi sociali, scuola, università.