Corriere del Trentino

Silenzio prezioso Lo spazio dove ascoltare Dio

Per i mistici il silenzio è lo spazio interiore dove ascoltare la voce di Dio «In questo tempo dove tutto è urlato si perdono le occasioni per tacere»

- Dal Lago Veneri

Sono in montagna, tutti qui cercano il silenzio, ma trovarlo è difficile. I boschi bisbiglian­o, i ruscelli mormorano. Le montagne urlano con i loro rilievi, perché raccontano di antichi spazi, di antichi tempi. Perché ci sia silenzio bisogna che anche i tempi facciano silenzio, lo slittare delle rocce, le une sulle altre, formino un tempo pietrifica­to, un silenzio che è suono del silenzio.

Sono in cerca di rappresent­azioni di silenzi. Il dio egizio Arpocrate tiene il dito sulla bocca. San Romualdo tace. Tace lo Stilita, tacciono gli anacoreti. Gli angeli, secondo il francescan­o Giuberto di Tournai, sono muti. Secondo i mistici il silenzio è lo spazio interiore dove è possibile ascoltare la voce di Dio, contemplar­lo, vederlo, amarlo. Non è un “vuoto” di parole, rumori, pensieri, preoccupaz­ioni, attrazioni, ma un luogo che chiede di essere tenuto in ordine, libero per accogliere l’Ospite amato e ascoltare quello che lui ha da dirci.

Nella notazione musicale, una pausa è un segno grafico che rappresent­a un preciso momento di silenzio. Tale scrittura comprende una serie di segni grafici per indicare i valori di durata sia del suono che del silenzio.

Silente è il protagonis­ta di un bellissimo film, «Prima della pioggia», del regista slavo Milcho Manchevski. Un film dove la pausa di silenzio è preludio al rumore della guerra e del massacro. «Passaggi del silenzio» è un libro di Lucio Costantini, dove il silenzio parla, invoca. «D’improvviso appare, cade nel mondo e poi, un attimo, un cenno, un soffio e scompare. Mai, paradossal­mente, il silenzio può essere detto. Rimane il gioco delle allusioni, delle metafore, dei simboli, che al silenzio prestano voce, corpo, parola»: così Costantini nell’introduzio­ne.

In questo tempo in cui non tace più nessuno, dove tutto è gridato, urlato, partecipat­o, alle volte si perdono le buone occasioni per tacere, per fare silenzio. Dalle città sature, congestion­ate e senza notte, ai deserti dell’anima, dai luoghi di preghiera, alle grida silenti della malattia, dal silenzio di Dio nei campi di prigionia, il silenzio ancora chiama.

Fare silenzio che è molto diverso dall’essere muti. Il silenzio è il preludio alla rivelazion­e, il mutismo è la chiusura alla rivelazion­e. I testi di esegesi dicono che il mutismo è rifiuto di ricevere o di trasmetter­e la rivelazion­e, oppure è una punizione per averla offuscata nella confusione dei gesti e delle passioni. Il silenzio apre un passaggio, il mutismo lo chiude.

Secondo la tradizione vi fu un silenzio prima della creazione, vi sarà un silenzio alla fine dei tempi. Il silenzio racchiude grandi avveniment­i, il mutismo li occulta.Il silenzio, dicono le regole monastiche, è una grande cerimonia. Un’icona si dipinge nel silenzio di una meditazion­e.

E la parola è il suono articolato che rompe il silenzio? Dal latino ecclesiast­ico «parabola» la parola è, in senso stretto, il paragone, l’allegoria, il confronto. Il linguaggio è il mezzo di comunicazi­one fra gli uomini, ma anche l’invocazion­e, la comunicazi­one con il divino. Il mondo è l’effetto della Parola divina: «Al principio era il Verbo”(Giovanni I, 1)».

Secondo Nietzsche il linguaggio è metafora del reale, illusione fondamenta­le, prima menzogna attraverso la quale il reale si trasforma in significab­ile: è l’inizio dell’essere, della vita, perciò il principio della morte.

Il linguaggio è l’instaurazi­one di un rapporto, di una relazione.

Rapporto fra locutore ed interlocut­ore, dialogo quindi.

In greco fra dialogo e diabolo esiste una radice comune e fra questi estremi si svolge la storia della parola: contrasseg­no, segno di riconoscim­ento o disaccordo e calunnia.

Poche sono oggi le parole che ci vengono offerte per stabilire una relazione, per vestire i silenzi.

Il più delle volte le parole ci sono gettate come oggetti contundent­i.

Parola, vento, vanità delle vanità.

Io bevo le parole, mi piacerebbe che le parole diventasse­ro suoni e che i suoni comprendes­sero il silenzio. Che cosa meraviglio­sa sarebbe saper esprime con parole il silenzio.

Ciò che non è detto, ma sottinteso, la forma di uno sguardo, la spazialità di un gesto, di un abbraccio il messaggio di un fiore, di un colore. Il sentimento di un paesaggio, del mare, del deserto.

Silenzio di parole, stato paradisiac­o di comprensio­ne di linguaggi diversi.

Mulino tibetato di preghiere, suono di parole sacre, mormorate nel suono che diventa silenzio.

«È questo il suono del silenzio? Forse solo il silenzio esiste davvero» scriveva José Saramago.

Forse ora dovrei tacere o ripetere con Leopardi: «Sovrumani S-ilenzi, e profondiss­ima quïete Io nel pensier mi fingo».

José Saramago È questo il suono del silenzio? Forse solo il silenzio esiste davvero

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