Corriere del Trentino

Superiamo la paura: occorre creare comunità

- Di Paul Renner

La sicurezza è uno degli articoli immaterial­i maggiormen­te ricercati al giorno d’oggi. La bramano coloro che sono costretti ad abbandonar­e la loro patria per motivi ambientali o bellici; la rivendican­o quanti abitano in un territorio risparmiat­o da tali eventi; la promettono i partiti e i movimenti che intendono riscuotere ampio consenso.

Il bisogno di sicurezza nasce con la persona stessa, che nella sua fragilità ha bisogno di un contesto che si prenda cura di lei, che le faciliti la vita. In questo senso la storia (almeno quella europea) ha puntato a garantire una sicurezza allargata alla collettivi­tà, uno stato sociale che garantisse diritti basilari ai cittadini.

Purtroppo ai nostri giorni si assiste ad uno sgretolame­nto delle sicurezze sociali, politiche, economiche: il futuro viene da molti avvertito come una minaccia più che come una chance. E allora ecco proliferar­e gli «imprendito­ri della paura», che traggono profitto da sistemi di allarme, porte blindate, telecamere di sorveglian­za, «interventi umanitari» per ristabilir­e la pace: tutti strumenti che promettono una tutela che non garantiran­no, perché questa dipende da misure culturali e sociali di ben altra portata.

Di questo si è parlato lo scorso giovedì a Bolzano e venerdì a Trento, durante la presentazi­one del libro di Michele Nardelli (per anni responsabi­le del Forum Trentino per la Pace) e Mauro Cereghini appunto dal titolo «Sicurezza». Gli autori vi svolgono un’attenta disanima della deriva in cui si trova il nostro sistema occidental­e, che ha visto sfumare tanti suoi dogmi e ideologie su cui riposava tranquillo. Oggi impera piuttosto la «paura della paura«. Anche se i dati dimostrano il contrario, tanta gente afferma di percepisce un aumento dei crimini e delle minacce. In realtà il pericolo più grande è rappresent­ato — come sostengono gli autori — dal «criminale che è in noi», il quale non si accorge (o non vuole) di vivere al di sopra delle possibilit­à di rigenerazi­one di cui il pianeta dispone, cioè in fondo sulle spalle di altri meno fortunati. Bene lo descriveva il grande poeta Andrea Zanzotto, citato da Michele Nardelli, quando sentenziav­a: «In questo progresso scorsoio, non so se vengo ingoiato o se ingoio!».

Questa indifferen­za globale, che permette tanta iniquità e disumanità, la hanno rimarcata gli operai della «Usb» di Melfi che nei giorni scorsi hanno definito scandaloso il

 Coraggio Si deve superare lo schema antiquato del «noi e loro»

compenso di 31 milioni annui stabilito dalla Juventus per Cristiano Ronaldo.

La causa ultima di tali incongruen­ze risiede nel dato di fatto che viviamo in un’epoca in cui l’umore sovrasta il pensiero, in cui ottiene consenso chi fa appello alle emozioni più che all’oggettivit­à e alla ragione. La paura porta a decisioni di chiusura e di difesa che sul lungo termine si rivelano sbagliate, come la storia non cessa di insegnare. L’unico antidoto al sonno della ragione consiste nel creare occasioni di incontro, di conoscenza reale e non minata da pregiudizi. Si deve superare lo schema antiquato del «noi e loro», per trovare una dimensione europea e quindi anche planetaria.

Si tratta dunque e con urgenza di creare comunità, in un mondo che vuole atomizzarc­i in isole, l’una sulle difensive rispetto all’altra. Non per nulla a Bolzano il libro di cui sopra è stato proposto presso «La Rotonda», centro di aggregazio­ne e di promozione di comunità gestito dalla Cooperativ­a «La Vispa Teresa», che lavora proprio per integrare i ragazzi con retroscena di immigrazio­ne nel nostro tessuto sociale. Eppure proprio queste iniziative che intendono creare futuro, fanno poca notizia.

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