Credito cooperativo: occorrono soluzioni oltre l’accanimento riformatore
Finalmente. Nella sua audizione al Senato, Giovanni Tria ha fatto chiarezza, arginando un dibattito che aveva ormai ritmo e incedere ossessivo. A guardare l’intera vicenda della riforma del credito cooperativo pareva proprio che la classe politica italiana, indipendentemente dal colore, avesse deciso di distruggere il credito cooperativo, lasciandosi andare a un accanimento riformatore. Ma ora il ministro ha spiegato ciò che ragionevolmente si può fare.
«Aspettiamo finché la Commissione europea avrà stilato le regole per le piccole banche», ha detto il presidente della commissione Finanze, Alberto Bagnai. Farlo davvero, però, significa allungare talmente i tempi da portare sostanzialmente le Bcc a morire. A conti fatti, sono sotto riforma da quasi tre anni: intollerabile. C’è poi l’idea di rendere meno dominante il contratto. Soluzione in parte condivisibile, malgrado si stiano esasperando casi straordinari — come la sostituzione
La partita dev’essere chiusa in fretta perché la crisi che ha colpito duramente il sistema ha già lasciato dei segni
degli amministratori — elevandoli a episodi ordinari. Ancora: innalzare obbligatoriamente dal 51 al 60% la quota minima del capitale detenuto dalle Bcc nella capogruppo potrebbe rappresentare un vincolo non solo eccessivo ma persino inutile. Per capirci: se sei titolare del 51% e sei una Spa chiusa, il controllo ce l’hai comunque.
Ciò che si potrebbe fare è invece studiare soluzioni davvero innovative. Penso a un sistema di agevolazioni sulla raccolta dei capitali. Andrebbe premiato chi partecipa fattivamente al bisogno di capitale di rischio, studiando quindi un incentivo per le azioni vendute ai soci delle stesse Bcc. Occorre cioè fare in modo di coinvolgere i soci dentro l’azionariato della capogruppo. Tutto ciò per diverse ragioni. La prima: questo meccanismo garantisce il mantenimento delle banche all’interno del sistema cooperativo. La seconda: la partecipazione crea fiducia perché si attivano motivazioni non strettamente economiche, bensì volte a migliorare la relazione tra soci delle singole Bcc e la capogruppo. La terza: così si rende più semplice l’accesso al mercato dei capitali. Perché non è detto che l’accesso al mercato dei capitali sia sempre garantito e a basso costo, come talvolta viene viceversa sostenuto nelle narrazioni sulla crescente attenzione della finanza per i risvolti sociali delle decisioni di investimento. Inoltre questi fondi non sono pazienti: la convinzione che i fondi speculativi siano capitali pazienti è uno stereotipo indimostrato. Viceversa, poter accedere a quel bacino di 1,5-2 milioni di soci che avranno congiuntamente i tre gruppi, può essere un modo per creare vantaggi per i soci e al tempo stesso garantirsi ulteriori tutele.
Non solo. Un incentivo fiscale ai soci pronti a mettere a disposizione i propri risparmi per capitalizzare al capogruppo sarebbe anche coerente con la natura non profit delle banche di credito cooperativo.
Se riteniamo che queste banche possano avere un ruolo pubblico, inteso come capacità di sopperire alla carenza di credito in particolari condizioni e per particolari tipologie di imprese, allora si deve agevolare anche il processo di capitalizzazione. Sia chiaro: il problema del finanziamento alle piccole imprese esiste e le soluzioni vanno ricercate, ma non è annullando tutto che si affronta il problema. Non è tornando indietro. Non è con moratorie dubbie. Non è bloccando ulteriormente l’operatività delle banche per sei mesi. Questa è pura incoscienza. Più si aspetta, peggio è.
La partita dev’essere chiusa in fretta perché la crisi che ha colpito severamente il sistema ha già lasciato dei segni. La riforma ne cambia in parte gli assetti, e le Bcc hanno bisogno, tra le altre cose, anche di capire come dovranno ripensare la loro funzione mutualistica tenendo conto del nuovo contesto, che è molto più competitivo. Una singola realtà, che per ragioni diverse preferirebbe un sistema diverso, penso al gruppo Raiffeisen, non può bloccare la riforma. La sfida è chiara, ma più si ferma il processo, più il raggiungimento degli obiettivi si allontana.