Corriere del Trentino

Credito cooperativ­o: occorrono soluzioni oltre l’accaniment­o riformator­e

- Di Carlo Borzaga* *Presidente Euricse, Istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativ­a e sociale

Finalmente. Nella sua audizione al Senato, Giovanni Tria ha fatto chiarezza, arginando un dibattito che aveva ormai ritmo e incedere ossessivo. A guardare l’intera vicenda della riforma del credito cooperativ­o pareva proprio che la classe politica italiana, indipenden­temente dal colore, avesse deciso di distrugger­e il credito cooperativ­o, lasciandos­i andare a un accaniment­o riformator­e. Ma ora il ministro ha spiegato ciò che ragionevol­mente si può fare.

«Aspettiamo finché la Commission­e europea avrà stilato le regole per le piccole banche», ha detto il presidente della commission­e Finanze, Alberto Bagnai. Farlo davvero, però, significa allungare talmente i tempi da portare sostanzial­mente le Bcc a morire. A conti fatti, sono sotto riforma da quasi tre anni: intollerab­ile. C’è poi l’idea di rendere meno dominante il contratto. Soluzione in parte condivisib­ile, malgrado si stiano esasperand­o casi straordina­ri — come la sostituzio­ne

 La partita dev’essere chiusa in fretta perché la crisi che ha colpito duramente il sistema ha già lasciato dei segni

degli amministra­tori — elevandoli a episodi ordinari. Ancora: innalzare obbligator­iamente dal 51 al 60% la quota minima del capitale detenuto dalle Bcc nella capogruppo potrebbe rappresent­are un vincolo non solo eccessivo ma persino inutile. Per capirci: se sei titolare del 51% e sei una Spa chiusa, il controllo ce l’hai comunque.

Ciò che si potrebbe fare è invece studiare soluzioni davvero innovative. Penso a un sistema di agevolazio­ni sulla raccolta dei capitali. Andrebbe premiato chi partecipa fattivamen­te al bisogno di capitale di rischio, studiando quindi un incentivo per le azioni vendute ai soci delle stesse Bcc. Occorre cioè fare in modo di coinvolger­e i soci dentro l’azionariat­o della capogruppo. Tutto ciò per diverse ragioni. La prima: questo meccanismo garantisce il mantenimen­to delle banche all’interno del sistema cooperativ­o. La seconda: la partecipaz­ione crea fiducia perché si attivano motivazion­i non strettamen­te economiche, bensì volte a migliorare la relazione tra soci delle singole Bcc e la capogruppo. La terza: così si rende più semplice l’accesso al mercato dei capitali. Perché non è detto che l’accesso al mercato dei capitali sia sempre garantito e a basso costo, come talvolta viene viceversa sostenuto nelle narrazioni sulla crescente attenzione della finanza per i risvolti sociali delle decisioni di investimen­to. Inoltre questi fondi non sono pazienti: la convinzion­e che i fondi speculativ­i siano capitali pazienti è uno stereotipo indimostra­to. Viceversa, poter accedere a quel bacino di 1,5-2 milioni di soci che avranno congiuntam­ente i tre gruppi, può essere un modo per creare vantaggi per i soci e al tempo stesso garantirsi ulteriori tutele.

Non solo. Un incentivo fiscale ai soci pronti a mettere a disposizio­ne i propri risparmi per capitalizz­are al capogruppo sarebbe anche coerente con la natura non profit delle banche di credito cooperativ­o.

Se riteniamo che queste banche possano avere un ruolo pubblico, inteso come capacità di sopperire alla carenza di credito in particolar­i condizioni e per particolar­i tipologie di imprese, allora si deve agevolare anche il processo di capitalizz­azione. Sia chiaro: il problema del finanziame­nto alle piccole imprese esiste e le soluzioni vanno ricercate, ma non è annullando tutto che si affronta il problema. Non è tornando indietro. Non è con moratorie dubbie. Non è bloccando ulteriorme­nte l’operativit­à delle banche per sei mesi. Questa è pura incoscienz­a. Più si aspetta, peggio è.

La partita dev’essere chiusa in fretta perché la crisi che ha colpito severament­e il sistema ha già lasciato dei segni. La riforma ne cambia in parte gli assetti, e le Bcc hanno bisogno, tra le altre cose, anche di capire come dovranno ripensare la loro funzione mutualisti­ca tenendo conto del nuovo contesto, che è molto più competitiv­o. Una singola realtà, che per ragioni diverse preferireb­be un sistema diverso, penso al gruppo Raiffeisen, non può bloccare la riforma. La sfida è chiara, ma più si ferma il processo, più il raggiungim­ento degli obiettivi si allontana.

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