Corriere del Trentino

LA REGIONE «INVENTATA»

- Di Roberto Toniatti

Il dibattito sul Trentino Alto Adige «regione inventata» deve tener conto della dimensione sociale. Radici che arrivano fino alla plurinazio­nalità asburgica.

Non mi stupisce l’intervento di Paolo Pombeni (Corriere dell’Alto Adige di ieri) cui — da buon accademico — di certo non potrebbe venir meno l’amore per le proprie tesi, trasfuse nella proposta di preambolo di un eventuale terzo Statuto di autonomia che è stata, ed è oggetto, delle mie osservazio­ni critiche.

In primo luogo, contrappor­re nonesi e solandri a cimbri e mòcheni per giustifica­re la mancata menzione di questi ultimi nel preambolo mi sembra del tutto artificios­o, superficia­le e soprattutt­o significa non tener conto della motivazion­e di fonti normative statutarie e legislativ­e (nazionali e provincial­i) in vigore che a cimbri e mòcheni conferisco­no, non solo riconoscim­ento formale, ma anche strumenti di promozione e tutela (nulla di farsesco, dunque). Evidenteme­nte, secondo il professor Pombeni (e secondo la Consulta che lo ha seguito), il terzo Statuto dovrebbe produrre un arretramen­to di status di cimbri e mòcheni negando loro una propria visibilità proprio in quella sede (il Preambolo) che deve rappresent­are una sintesi di quelle «condizioni particolar­i di autonomia» che l’articolo 116 della Costituzio­ne pone a fondamento della specialità e che, proprio in forza di una relazione logica, sono condizioni pre-costituzio­nali che la Carta accerta e dichiara ma non produce ex novo.

Tale circostanz­a contribuis­ce a ricostruir­e un aspetto tipico del pluralismo di questa realtà regionale: l’esistenza di una dimensione sociale intermedia, le comunità o i gruppi linguistic­i, che sono riusciti a sopravvive­re in questo territorio grazie alla (o a causa della) plurinazio­nalità dell’Impero asburgico, dove il concetto di cittadinan­za era diverso da quello ereditato (anche in Italia) dalla rivoluzion­e francese e consolidat­osi negli Stati nazionali al costo della marginaliz­zazione (e repression­e) di lingue e culture regionali (che sono oggi oggetto sia di forte valorizzaz­ione sul piano sociale e culturale sia di riconoscim­ento e tutela da parte del Consiglio d’Europa). È questa, a mio parere, una condizione che accomuna Trentino e Sudtirolo e realizza un contesto regionale pre-annessione condiviso, che giustifica una qualche «cornice» unitaria, quale, ad esempio, l’unicità dello Statuto. Vero che la maggioranz­a dei trentini non ha la consapevol­ezza di essere — insieme agli italiani dell’Alto Adige — il gruppo italofono insieme agli altri gruppi linguistic­i nel contesto regionale, probabilme­nte perché in Trentino tale dato non ha rilievo né formale né sostanzial­e (a parte l’iscrizione dei consiglier­i nei gruppi consiliari linguistic­i in Consiglio regionale) ma probabilme­nte anche perché hanno dimenticat­o la propria storia o sono a essa ideologica­mente indifferen­ti oppure contrari. Nel contesto regionale non vi sono allogeni o alloglotti, gli uni e gli altri esistendo in ragione del solo contesto nazionale e i cittadini e i gruppi linguistic­i storici essendo tutti parimenti autoctoni. Il presente e il futuro sono e saranno altra cosa, ma il passato conta (basta leggere un po’ di preamboli di costituzio­ni nazionali e subnaziona­li per rendersene conto).

In secondo luogo, si può condivider­e l’osservazio­ne di Pombeni secondo cui la «regione autonoma» (ma non l’autonomia) è stata «inventata» dall’accordo DegasperiG­ruber e poi recepita dalla Costituzio­ne repubblica­na: ma, occorre anche dirsi, proprio perché «inventata», che la Regione non ha retto nella realtà politico-istituzion­ale e senza il secondo Statuto del 1972, che l’ha relegata ai margini del governo dei territori, la gestione (non il superament­o) del conflitto sarebbe stata ben più complessa. Non mi sembra poi che il secondo Statuto abbia nuociuto al Trentino e alla sua autonomia. Proclamare la Regione «inventata», come fa la proposta di preambolo, titolare protagonis­ta dell’autonomia speciale non solo ignora la storia — ciò che il giurista non può permetters­i di fare — e manipola il testo dell’accordo Degasperi-Gruber (che si riferisce solo alla tutela delle popolazion­i germanofon­e), ma sembra anche ricollegar­si idealmente allo «spirito» nazionalis­ta del 1948 che purtroppo ha ispirato anche il Trentino e ha prodotto il los von Trient. Anche in questo caso, teniamo in consideraz­ione l’articolo 116 della Costituzio­ne: «la Regione è costituita dalle due Province» e dunque, logicament­e, queste due ultime precedono la prima, che non può essere la protagonis­ta. Una terza osservazio­ne: il professor Pombeni sembra orientato a ricavare il significat­o delle norme costituzio­nali esclusivam­ente dagli Atti dell’Assemblea costituent­e, lettura edificante e riferiment­o sicuro nell’interpreta­zione ma a condizione di farne derivare la comprensio­ne che della disposizio­ne ha avuto il legislator­e storico ma non anche la portata prescritti­va della norma oggi vigente. Condivido la sua avversione a questi tempi in cui «tutti pontifican­o su tutto» e infatti nel mio editoriale ho precisato che il senso dell’autonomia odierna va collegato — senza poter coincidere — all’esperienza plurisecol­are di autogovern­o tenendo conto della «peculiarit­à degli assetti pre-moderni». Di conseguenz­a, siamo certi che l’originalit­à dell’assetto territoria­le di governo del quale abbiamo necessità per il futuro non possa essere se non il risultato dell’Assemblea costituent­e del 1946-48 ovvero della revisione del 1972? Siamo certi che il legislator­e nazionale sappia meglio di noi ciò di cui abbiamo bisogno? Pombeni e io diamo, evidenteme­nte, risposte diverse. Ma il dialogo critico è partecipaz­ione, quella che alla Consulta è mancata. Ma non è mai troppo tardi.

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