LA REGIONE «INVENTATA»
Il dibattito sul Trentino Alto Adige «regione inventata» deve tener conto della dimensione sociale. Radici che arrivano fino alla plurinazionalità asburgica.
Non mi stupisce l’intervento di Paolo Pombeni (Corriere dell’Alto Adige di ieri) cui — da buon accademico — di certo non potrebbe venir meno l’amore per le proprie tesi, trasfuse nella proposta di preambolo di un eventuale terzo Statuto di autonomia che è stata, ed è oggetto, delle mie osservazioni critiche.
In primo luogo, contrapporre nonesi e solandri a cimbri e mòcheni per giustificare la mancata menzione di questi ultimi nel preambolo mi sembra del tutto artificioso, superficiale e soprattutto significa non tener conto della motivazione di fonti normative statutarie e legislative (nazionali e provinciali) in vigore che a cimbri e mòcheni conferiscono, non solo riconoscimento formale, ma anche strumenti di promozione e tutela (nulla di farsesco, dunque). Evidentemente, secondo il professor Pombeni (e secondo la Consulta che lo ha seguito), il terzo Statuto dovrebbe produrre un arretramento di status di cimbri e mòcheni negando loro una propria visibilità proprio in quella sede (il Preambolo) che deve rappresentare una sintesi di quelle «condizioni particolari di autonomia» che l’articolo 116 della Costituzione pone a fondamento della specialità e che, proprio in forza di una relazione logica, sono condizioni pre-costituzionali che la Carta accerta e dichiara ma non produce ex novo.
Tale circostanza contribuisce a ricostruire un aspetto tipico del pluralismo di questa realtà regionale: l’esistenza di una dimensione sociale intermedia, le comunità o i gruppi linguistici, che sono riusciti a sopravvivere in questo territorio grazie alla (o a causa della) plurinazionalità dell’Impero asburgico, dove il concetto di cittadinanza era diverso da quello ereditato (anche in Italia) dalla rivoluzione francese e consolidatosi negli Stati nazionali al costo della marginalizzazione (e repressione) di lingue e culture regionali (che sono oggi oggetto sia di forte valorizzazione sul piano sociale e culturale sia di riconoscimento e tutela da parte del Consiglio d’Europa). È questa, a mio parere, una condizione che accomuna Trentino e Sudtirolo e realizza un contesto regionale pre-annessione condiviso, che giustifica una qualche «cornice» unitaria, quale, ad esempio, l’unicità dello Statuto. Vero che la maggioranza dei trentini non ha la consapevolezza di essere — insieme agli italiani dell’Alto Adige — il gruppo italofono insieme agli altri gruppi linguistici nel contesto regionale, probabilmente perché in Trentino tale dato non ha rilievo né formale né sostanziale (a parte l’iscrizione dei consiglieri nei gruppi consiliari linguistici in Consiglio regionale) ma probabilmente anche perché hanno dimenticato la propria storia o sono a essa ideologicamente indifferenti oppure contrari. Nel contesto regionale non vi sono allogeni o alloglotti, gli uni e gli altri esistendo in ragione del solo contesto nazionale e i cittadini e i gruppi linguistici storici essendo tutti parimenti autoctoni. Il presente e il futuro sono e saranno altra cosa, ma il passato conta (basta leggere un po’ di preamboli di costituzioni nazionali e subnazionali per rendersene conto).
In secondo luogo, si può condividere l’osservazione di Pombeni secondo cui la «regione autonoma» (ma non l’autonomia) è stata «inventata» dall’accordo DegasperiGruber e poi recepita dalla Costituzione repubblicana: ma, occorre anche dirsi, proprio perché «inventata», che la Regione non ha retto nella realtà politico-istituzionale e senza il secondo Statuto del 1972, che l’ha relegata ai margini del governo dei territori, la gestione (non il superamento) del conflitto sarebbe stata ben più complessa. Non mi sembra poi che il secondo Statuto abbia nuociuto al Trentino e alla sua autonomia. Proclamare la Regione «inventata», come fa la proposta di preambolo, titolare protagonista dell’autonomia speciale non solo ignora la storia — ciò che il giurista non può permettersi di fare — e manipola il testo dell’accordo Degasperi-Gruber (che si riferisce solo alla tutela delle popolazioni germanofone), ma sembra anche ricollegarsi idealmente allo «spirito» nazionalista del 1948 che purtroppo ha ispirato anche il Trentino e ha prodotto il los von Trient. Anche in questo caso, teniamo in considerazione l’articolo 116 della Costituzione: «la Regione è costituita dalle due Province» e dunque, logicamente, queste due ultime precedono la prima, che non può essere la protagonista. Una terza osservazione: il professor Pombeni sembra orientato a ricavare il significato delle norme costituzionali esclusivamente dagli Atti dell’Assemblea costituente, lettura edificante e riferimento sicuro nell’interpretazione ma a condizione di farne derivare la comprensione che della disposizione ha avuto il legislatore storico ma non anche la portata prescrittiva della norma oggi vigente. Condivido la sua avversione a questi tempi in cui «tutti pontificano su tutto» e infatti nel mio editoriale ho precisato che il senso dell’autonomia odierna va collegato — senza poter coincidere — all’esperienza plurisecolare di autogoverno tenendo conto della «peculiarità degli assetti pre-moderni». Di conseguenza, siamo certi che l’originalità dell’assetto territoriale di governo del quale abbiamo necessità per il futuro non possa essere se non il risultato dell’Assemblea costituente del 1946-48 ovvero della revisione del 1972? Siamo certi che il legislatore nazionale sappia meglio di noi ciò di cui abbiamo bisogno? Pombeni e io diamo, evidentemente, risposte diverse. Ma il dialogo critico è partecipazione, quella che alla Consulta è mancata. Ma non è mai troppo tardi.