Le Acli: «No agli slogan leghisti»
Oliver critico: «La situazione di stallo è l’esito della crisi della politica. Basta totonomi»
«Se la Lega pensa di replicare a livello locale gli slogan nazionali, noi non ci stiamo». Il presidente delle Acli trentine Luca Oliver è netto sulle posizioni del Carroccio su immigrati e sociali. «Il nostro modello di sviluppo — dice — si basa sulla persona, su formazione e welfare». Ed è proprio l’idea di sviluppo del Trentino che, secondo Oliver, i partiti dovrebbero mettere in cima alla loro azione. «Basta totonomi: non è da qui che si deve partire» avverte. Intanto sia Maurizio Fugatti che Ugo Rossi rifiutano la mano tesa di Filippo Degasperi (M5s) in vista del voto: «Non ci serviranno alleanze».
TRENTO Il dibattito sui nomi dei candidati presidente — di centrodestra e centrosinistra — non lo appassiona. «Per carità: non dico che sia una questione di poco conto. Ma non è questo il tema principale». Di fronte a un quadro politico ancora drammaticamente indefinito a soli tre mesi dalle elezioni provinciali, il presidente delle Acli Luca Oliver mette in ordine le priorità. E fissa un concetto preciso: «C’è una questione a cui finora nessuno ha dato risposta. Vale a dire: cosa si voglia fare di questa terra nei prossimi cinque anni». Sul tavolo Oliver mette un’«idea di sviluppo del territorio» che va declinata. «Noi la nostra posizione ce l’abbiamo» rivendica il presidente Acli, che disegna confini valoriali precisi: dalla formazione al welfare, passando per il lavoro. Con un messaggio chiaro a un centrodestra autonomista che punta a occupare i piani alti di Piazza Dante. «Se l’intenzione della Lega — avverte — è di replicare a livello locale gli slogan lanciati a livello nazionale, noi non ci stiamo».
Presidente Oliver, gli schieramenti politici in questi mesi non sono riusciti a trovare la quadra su alleanze e candidati. I trentini attendono certezze. Come valuta questa situazione?
«Ne abbiamo parlato anche all’interno del nostro consiglio provinciale. Come del resto hanno fatto in molti in questi giorni. E secondo noi c’è una domanda alla quale finora non è stata data risposta: cosa si vuole fare di questa terra nei prossimi cinque anni? Siamo un territorio autonomo, in grado di darsi risposte da solo. Se non discutiamo di ciò che vogliamo essere in futuro, dell’idea di sviluppo del nostro territorio, allora abbiamo un problema».
Il confronto si è polarizzato sui nomi.
«Non dico che sia di poco conto. È giusto parlare anche delle persone. Ma al primo posto va la riflessione sul modello di sviluppo. Sia chiaro: non chiediamo una risposta solo a chi decide di candidarsi. Il nostro è un richiamo alla responsabilità lanciato a tutti i trentini. Noi ci siamo: noi la nostra idea di sviluppo ce l’abbiamo».
E quali sono chiave? le parole
«Il nostro modello di sviluppo, da sempre, è incentrato sulla persona. Chi è al governo dovrebbe portare avanti questo tipo di visione, secondo noi. Un modello valoriale che punti a una società equilibrata e coesa. Che scommetta sulla formazione e sul welfare e li consideri non dei costi, ma degli investimenti: in questo senso pensiamo alla creazione di start up anche nel mondo dei servizi alla persona. Ma guardiamo anche al lavoro, un tema importante. Ancora: senza parlare di “buonismo”, è necessario prendere atto che ci sono delle persone più sfortunate di noi, delle quali le persone più fortunate devono farsi carico. Sull’immigrazione, va portato avanti un dialogo che già in questi anni è stato sviluppato da Cinformi. E che dentro un sistema di regole funziona».
Eppure il centrodestra, la Lega in particolare, sulla questione degli immigrati non la pensa proprio così. Se andasse al governo cosa cambierebbe?
«Se la Lega vuole replicare qui gli slogan lanciati a livello nazionale, noi non ci stiamo. Non condividiamo questo modo di vedere. Quello dell’immigrazione è un tema tutt’altro che mediatico».
Intanto la coalizione di centrosinistra mostra tutte le sue divisioni interne. Come giudica le fratture emerse?
«Credo che il problema sia quello che si diceva all’inizio: se prima non si definisce effettivamente un obiettivo da raggiungere è difficile restare compatti. È vero che la frase “prima i contenuti dei nomi” è trita e ritrita. Ma è così».
Quanto pesa la crisi della politica in questo quadro indefinito?
«Molto. Per quanto ci riguarda, abbiamo cercato di interpretare questo momento riconducendo la situazione politica a quanto succede nella società: il dialogo tra le persone è ai minimi storici, mentre ha assunto un’importanza esagerata la relazione sui social. Oggi il sistema di slogan è diventato il principale modello di comunicazione. In questo senso noi abbiamo avviato un progetto che mette attorno a un tavolo soggetti diversi, per trovare soluzioni ai problemi sollevati».
Dal 4 marzo tutti i partiti si sono interrogati sulla questione del rinnovamento della classe politica. Crede sia davvero necessario questo passaggio per avvicinare i cittadini alla politica?
«Mi sembra francamente semplicistico pensare che il rinnovamento sia la soluzione di tutti i problemi. Non è cambiando i consiglieri che si risolve tutto. Il problema vero è ripartire all’interno della comunità per costruire delle relazioni positive, che possano anche alimentare la politica, oggi non così attrattiva come un tempo».
Un’ultima domanda: il governatore uscente Ugo Rossi viene messo in discussione. Giusto?
«Non compete a noi rispondere e, come ho già detto, non è questo il tema. Il tema è avere una coalizione che si faccia garante di un modello di sviluppo preciso».