Di Palma: «Gli incidenti mortali sono dovuti ad errori umani»
L’esperto: «Il ragazzo brasiliano? Quello è stato un suicidio»
DRO Quando risponde al telefono, si trova a bordo di un pulmino insieme a una decina di americani diretti verso le Dolomiti bellunesi. Alle spalle già i primi salti della giornata. Maurizio Di Palma, originario di Pavia ma trapiantato in Trentino nove anni fa, è uno dei base jumper che ha fatto più lanci al mondo e dai posti più disparati, Duomo di Milano compreso. Sul Brento si allena e insegna: «Non facciamo provare il base jump — si legge sul sito della sua Brento base school — trasformiamo paracadutisti in base jumper».
Di Palma, ci spiega, innanzitutto, cos’è il base jumping?
«Letteralmente, un acronimo che indica le principali categorie di oggetti da cui ci si può lanciare: buildings, antennas, span, earth. Ovvero edifici, antenne, ponti e pareti rocciose. I base jumper sono dei paracadutisti senza aereo. C’è anche la forma più estrema di volo, con la tuta alare. Parlare di pratica sportiva, tuttavia, è una forzatura: non ci sono federazioni o associazioni riconosciute e i praticanti nel mondo sono due o tremila, un numero irrisorio. Nessuno può fare questa attività se non è paracadutista: per accedere ai corsi base della mia scuola si deve avere alle spalle almeno 200 salti di skydiving».
Cosa vi spinge a compiere un passo nel vuoto?
«Per quanto mi riguarda, la passione per il volo: volare a oltre 200 chilometri orari è la massima espressione di libertà. La sfida, poi, non è solo quella del salto, sta anche nella ricerca del luogo e dell’oggetto da cui farlo: gli scenari completano l’esperienza. Poi, naturalmente, ognuno ha le sue motivazioni. Non è ricerca dell’adrenalina, ma desiderio di avventura il più delle volte, di mettersi in gioco, di raggiungere
La svolta GoPro e social media hanno fatto esplodere l’attività
obiettivi che elevano le proprie competenze».
Perché avvengono gli incidenti mortali?
«Nella quasi totalità dei casi si tratta di errore umano. Basta una valutazione errata: della propria condizione psicofisica, del materiale che si usa per il salto, delle condizioni meteo. È naturale, poi, che se un luogo è sempre più frequentato il numero degli incidenti aumenti. Essendo il Brento una parete molto facile, inoltre, è visitata anche da persone inesperte».
Come Reginaldo Gomes de Silva junior, il 25enne brasiliano che ha perso la vita mercoledì?
«Non si è trattato di incidente, quello è stato un suicidio. Il ragazzo aveva sulle spalle materiale da paracadutismo, che è come usare gli sci d’acqua per andare sulla neve. Chiunque sa che una tale attrezzatura non funziona, lui non aveva alcuna esperienza, nemmeno di paracadutismo. La cosa strana è che nessuno si è accorto di quello che stava per fare, non si è fatto vedere. Ha pagato un prezzo altissimo».
Posto che il Brento è «La Mecca del base jump» con più di diecimila lanci l’anno e che la pratica rimane comunque di nicchia, cosa ha fatto lievitare i numeri?
«L’avvento delle GoPro e dei social media. Da sette anni a questa parte, tutti hanno potuto scoprire l’esistenza del base jumping. I social soprattutto sono stati il principale catalizzatore, hanno fatto esplodere l’attività».