Corriere del Trentino

«Passi chiusi e punti nascita, tuteliamo chi vive in montagna»

- Giovannini

«No ai fondamenta­lismi in montagna». Il monito arriva dal famoso alpinista Simone Moro, che interviene sulla chiusura dei passi e degli ospedali territoria­li. «La gente va coinvolta» dice.

TRENTO Difficile fermare Simone Moro. Seduto su un prato in val San Nicolò, dove è appena atterrato con l’elicottero per il Mountain festival della The North Face, il famoso alpinista bergamasco — che ha scalato in invernale ben quattro ottomila — ascolta la prima domanda e poi parte a raffica. Riflettend­o prima sul delicato rapporto tra uomo e natura e poi affrontand­o uno a uno i nodi che in queste settimane tanto hanno diviso in Trentino: dalla chiusura dei passi alla presenza di lupi e orsi, fino al destino degli ospedali territoria­li. Con un invito preciso: «Nelle scelte che riguardano la montagna è necessario coinvolger­e la gente che lì ci vive. Senza fondamenta­lismi».

Sembra sempre più difficile trovare un equilibrio nel rapporto tra l’uomo e l’ambiente naturale. Dai grandi carnivori al traffico sui passi, i nodi sono sempre più numerosi e delicati. Da persona che ha vissuto in ambienti anche «ostili», cosa ne pensa? Ormai è una ricerca impossibil­e?

«L’approccio che amo avere e che amo raccomanda­re è questo: quando l’uomo è nella natura è ospite. L’ospite non è il lupo. Né l’orso. Nemmeno la farfalla o l’aquila. L’uomo ha deciso di lasciare la natura per vivere in città. Se poi quando torna nella natura pensa di portare con sé il bagaglio della città ha sbagliato completame­nte approccio. Il punto di equilibrio a questo punto sarebbe già raggiunto: se vai in un ambiente e ti senti ospite sei rispettoso, capisci che le regole non sono le tue ma sono dettate da un ambiente che non è normato. Abbiamo dovuto normare il vivere comune, altrimenti sarebbe stato impossibil­e. Ma l’uomo quando è in natura non ha bisogno di norme: è ospite e si deve adattare. Tenendo presente un altro aspetto».

Quale?

«Non bisogna nemmeno incorrere nell’errore opposto, ossia considerar­e tutto una riserva. In questa visione l’uomo che abita in una baita in mezzo al bosco diventa un “indiano”: una persona che non può costruirsi il pollaio, non può arrivare a casa sua in auto perché noi, da casa nostra, dobbiamo proteggere la natura. E ovviamente scappa. L’equilibrio, come si vede, è veramente sottile».

Come uscirne?

«Un parametro che si può usare è quello della conoscenza e del buonsenso. Dove conoscenza vuol dire sapere quali sono i grandi predatori, sapere cosa serve in montagna. Perché ci sono delle regole di comportame­nto che mancano: se domani mattina osserviamo i movimenti degli escursioni­sti, scopriamo che la maggior parte si mette in cammino tra le 10 e le 10.30. Non si fa così. La montagna non è assassina: da sempre in quota i temporali arrivano pomeriggio. Quindi: chi vuole fare un’escursione deve andare a letto presto e partire presto. Così evita di prendere l’acqua ed evita anche i fulmini. Invece oggi sembra quasi che si debbano costruire le tettoie sui sentieri per ripararci. È davvero questo il punto: ci siamo staccati dalla natura e pensiamo di tornarci con il nostro bagaglio. Ma il bagaglio, anche culturale, qui è diverso».

Un bagaglio che può essere recuperato?

«Assolutame­nte. È diventa- ta una necessità. Ormai siamo in fila per fare tutto. E la montagna è rimasta l’ultima oasi di libertà. Il mare invece non lo è più, le spiagge libere non esistono quasi più».

Siamo in fila per far tutto, dice: qui si chiudono i passi per l’affollamen­to.

«Ma per normare queste cose non vengono coinvolte le persone che vivono in quei luoghi. Mi spiego: se una persona ha fatto un investimen­to importante, deve pagare un mutuo, è in cima al passo Sella e gli chiudiamo la strada per sette giorni diventa un problema. Non sto dicendo che sia giusto o sbagliato. Sto dicendo che questa riflession­e doveva essere fatta. E non è stato così. Non si può prima lasciar fare tutto e poi chiudere. È chiaro che stare tutti i coda per salire su un passo non è il massimo. Ma si deve anche pesare il fenomeno. Ad esempio: la coda sull’Everest che ha fatto scalpore è un fenomeno che dura per trenta giorni all’anno. Davvero il problema di una montagna per trenta giorni all’anno deve stravolger­e un intero sistema?».

Quindi?

«La soluzione è non essere fondamenta­listi: la via di mezzo c’è sempre. Anche se si rischia di scontentar­e tanti. E poi bisogna coinvolger­e la popolazion­e locale: facile stare sul divano e dire cosa deve fare il pastore. Soprattutt­o in Italia, un paese di montagna».

Ma non ce ne rendiamo conto.

«Esatto. Manca la consapevol­ezza di essere montagna: strade, viabilità, scuole, ospedali. Anche questa storia di chiudere tanti ospedali..».

Cosa ne pensa?

«Ci sono persone che per un esame del sangue devono farsi un’ora e mezza di strada. O reparti maternità tolti. Così non si aiuta la montagna. In questi campi si devono fare anche scelte antieconom­iche. Mi dicono: l’ospedale non rende. Ma quindi? Li mandiamo tutti a Trento? La montagna si

Le regole

«La montagna non è assassina: se si parte presto e si torna presto si evitano i temporali»

aiuta conoscendo­la. E se non la si conosce si coinvolge chi in montagna ci vive. E ancora: se non si arriva a un punto comune, si cerca una mediazione. Non fondamenta­lista. Senza dimenticar­ci di un aspetto».

Prego.

«Le montagne trentine, italiane, sono le più belle del mondo. E lo dico con cognizione di causa, visto che le ho viste quasi tutte: mi manca solo l’Alaska. Noi abbiamo un equilibrio incredibil­e tra antropizza­zione e mondo selvaggio. Qui l’orso vive perché abbiamo ancora spazi selvaggi bellissimi. E terreni selvaggi preziosi per gli alpinisti. Questa è una fortuna che dobbiamo coltivare e conoscere. L’ambiente è il vero motore di un’economia che tutto il mondo ci invidia. Dovremmo essere più consapevol­i del nostro territorio. Anche se va detto che Trentino e Alto Adige rimangono esempi virtuosi: qui si può solo parlare di migliorare una gestione che va bene».

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Alpinista Simone Moro durante una delle sue numerose imprese in alta quota: detiene il record di scalate in invernale di Ottomila. È a quota quattro

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