Dimentica di respirare Il romanzo poetico di Pinter
Nel lavoro dell’altoatesina i temi della morte
È un romanzo toccante, struggente, forse addirittura straziante, questo Dimentica di respirare che la scrittrice altoatesina Kareen De Martin Pinter ha da poco pubblicato con Tunuè edizioni per raccontare un protagonista insolito: il respiro. Il respiro della vita di Giuliano, un campione di apnea che, per stabilire un nuovo record, ci porta giù (letteralmente) fino a 137 metri di profondità, e poi ancora più giù, fino al fondo della sua memoria dove troviamo tutto: la bellezza sirenica delle ama giapponesi (figure mitologiche per noi ma, in realtà, donne pescatrici di perle e di alghe, seminude e in apnea, sui fondali dell’arcipelago nipponico), un’amica delfina, Mary, con la quale danzare commoventi armonie di onde in mare, e poi la nostalgia dei giochi dell’infanzia, quando già il respiro veniva trattenuto il più a lungo possibile in continue sfide con gli amici e con il fratello, e infine ecco, proprio lui, Giovanni, il fratello. È la sua morte in mare per un incidente mai chiarito, tanti anni prima, che ancora oggi alligna tra le sabbie del cuore pesante di Giuliano. E allora, tuffandoci tra le righe di questo romanzo, in cosa ci immergiamo? Nel racconto sportivo di un apneista, alla vigilia di una gara che segnerà la realizzazione di un’impresa da record, oppure, è nella psicologia di un personaggio dominato dal senso di colpa che scendiamo fino a toccare il fondo? Ci trascina lo stile di De Martin Pinter
che mixa descrizioni, visioni, reminiscenze, digressioni fino a toccare un limite estremo: il tema del suicidio assistito.
A metà della narrazione, l’onda emotiva del trionfo sportivo di Giuliano ci travolge e subito ci porta via, alla deriva in un’altra storia. A Giuliano viene diagnostico un cancro all’ultimo stadio. Un cancro che lo ucciderà per, ironia della sorte, asfissia. Ancora, il respiro, i polmoni, la cassa toracica che si espande e si strizza in accessi di colpi di tosse, rimane al centro della nostra attenzione. Quanta crudezza e quasi brutale onestà nelle parole del medico che guarda in faccia Giuliano comunicandogli il suo destino. Cosa gli resta da fare?
Dal punto di vista di uno sportivo maturo di 50 anni, che è allo stesso tempo un uomo «senza perdono», De Martin Pinter immagina una storia capace di far aderire il lettore al ritmo peculiare delle parti descrittive dove il corpo, il respiro, la mente raccontati nel loro farsi e disfarsi, nel loro interagire, sono i protagonisti. E la preparazione dell’ultima gara di Giuliano si fa simbolo di una volontà di riuscire che trascende il fatto sportivo e che, purtroppo, però lascia un insegnamento ambiguo: Giuliano è un vincente che nega la vita. Alla sfida maggiore, egli si sottrae subito, senza dubbio. Com’è possibile per un uomo da record degli abissi? E forse l’autrice porta la vicenda verso una conclusione su un tema che le preme trattare ma che nella struttura della narrazione irrompe precipitosamente. Nonostante alcune parentesi aperte su talune specie marine e al di là del facile parallelismo tra l’andare a fondo nel mare e l’andare a fondo, contemporaneamente, nella propria biografia, è assolutamente commovente il tratto sensibile che la scrittrice altoatesina assume nella scrittura del rapporto tra Giuliano e una delfina, Mary, il loro nuotare sincrono e libero. E poetica è la visione trasfigurata (non proprio i ricordi) delle ama, le donne pescatrici che Giuliano ha conosciuto da giovane in Giappone e che ora, nell’estremo atto della sua esistenza, ritornano in una straziante, bellissima sovrapposizione di immagini e di significati di morte/rinascita: una ama gli appare gravida della «pancia del mondo» nella quale è tornato il bambino battezzato dalla delfina Mary.