Corriere del Trentino

American dream

Romano atteso venerdì a Corvara Presenta l’ultimo libro su Trump

- di Gabriella Brugnara

Penso che gli Stati Uniti abbiano un alto concetto della loro funzione politica. Sono convinti di avere una missione, e ciò fa parte della loro storia e cultura. Nelle particolar­i virtù che ritengono di possedere hanno trovato a volte la giustifica­zione alle loro politiche imperiali, ma credo che con Donald Trump sia molto più difficile vantare questa superiorit­à morale». È questa l’essenza dell’american dream che — come spiega Sergio Romano (Vicenza, 1929) già ambasciato­re alla Nato e quindi a Mosca, profes- sore universita­rio, editoriali­sta del Corriere della Sera — con Trump presidente sta venendo meno. Da una quindicina d’anni il professor Romano è ospite autorevole di Un libro un rifugio, la rassegna letteraria dell’Alta Badia ideata e curata da Gianna Schelotto, presentand­o di volta in volta un focus su alcune questioni salienti del contempora­neo. Dopo Berlino capitale e Putin e la ricostruzi­one della grande Russia, in ques t a e di z i o ne l ’a ppuntament­o è per venerdì alle 17.30 presso la sala manifestaz­ioni di Corvara con un approfondi­mento su Trump e la fine dell’american dream (Longanesi). A introdurre l’atteso ospite ci sarà Enrico Franco, editoriali­sta del Corriere del Trentino e Corriere dell’Alto Adige.

Politica

Questo presidente è il nemico di tutto ciò che l’America ha detto di essere negli ultimi decenni

Ambasciato­re Romano, nel discorso di insediamen­to del 20 gennaio 2017 Trump ha affermato che quello «sarà ri- cordato come il giorno in cui il popolo diventa nuovamente padrone di questa nazione». Perché ha puntato su questo aspetto?

«Come t utti i discorsi di inizio presidenza, anche quello di Trump aveva un tasso di retorica particolar­mente elevato. Non c’è dubbio, però, che Trump consideri se stesso un fatto nuovo, e in un certo senso lo è, bisogna riconoscer­lo. Rappresent­a il nemico di tutto ciò che l’America ha detto di essere nel corso degli ultimi decenni, del disegno politico che la presentava come un mondo liberal democratic­o, favorevole al libero commercio e ad altri aspetti a ciò collegati. Tutto questo non è condiviso da Trump, che ha un altro concetto degli Stati Uniti».

Quale?

«È erede di altre tradizioni politiche, quelle degli unila-

teralisti, dei protezioni­sti. Conoscevam­o questa America, sapevamo che esisteva, era quella dominante in un certo periodo momento s to r i co, ma c’eravamo abituati a un’altra America in cui molti avevano riposto delle speranze, forse eccessive. Ora Trump ci dice che quel tipo di paese non gli piace, e che non piace neppure a quelli che hanno votato per lui. Al momento dell’insediamen­to ha parlato di un’era nuova, valuteremo nel tempo quanto nuova sarà».

Nel saggio descrive il presidente come uno straordina­rio venditore di se stesso. In che senso?

«Come in ogni uomo politico, in Trump ci sono almeno due persone: quella che ragiona attraverso argomenti politici, che noi dobbiamo cercare dei capire, e questo è il Trump isolazioni­sta e prote-

zionista di cui parlavo prima. C’è poi il personaggi­o con le sue caratteris­tiche umane, tra cui ne distinguo due fondamenta­li. É innanzitut­to un imprendito­re edile, cioè un particolar­e tipo di imprendito­re che. quando lavora nelle grandi città è esposto a una serie di contatti con gli ambienti migliori e peggiori che la compongono, e in questo contesto ha operato con profitto imparando tutte le lezioni buone e cattive».

E la seconda caratteris­tica?

«Ha scoperto di essere anche un attore, e pure un impresario di teatro. Penso al reality show che ha gestito alla te l e v i s i one a merica na per qualche anno. Gli piaceva, era il regista di se stesso. Questi reality costituisc­ono l’equivalent­e moderno della commedia dell’arte, basati su un canovaccio in cui l’improvvisa­z i one è e s s e nzi a l e . Trump met te va in scena carriere aziendali e interveniv­a come giudice arbitro, compiacend­osi ogni tanto di mandare via le persone dallo studio. A un certo punto ha deciso che queste cose le sapeva fare e ha finito per cominciare a giudicare le sue azioni sulla base del maggiore o minore successo che i suoi gesti riscuoteva­no di fronte al pubblico».

Però ora il suo ruolo è quello di presidente degli Stati Uniti.

«Anche quando fa una dichiarazi­one politica, valuta il successo sulla base della reazione che i suoi gesti e le sue parole provocano. Come molti attori in scena è alla ricerca dell’applauso, si chiede continuame­nte quale sia la strategia per riscuotere maggior consenso. Al G7 in Canada si deve essere arrabbiato perché “il padrone di casa” lo contraddic­eva sotto il profilo della politica economica. Ha così rifiutato di firmare il comunicato congiunto, e quando un grande paese rifiuta di firmare è come avesse buttato tutto a l l ’a r i a . I n q u e l momento Trump riteneva che avrebbe avuto più successo comportand­osi in quel modo».

È il fattore sorpresa che spiazza l’opinione pubblica, basti pensare al recente incontro con Kim Yong-un.

«Certo, anche con la Corea, e ora forse con l’Iran sta accadendo la stessa cosa. Passa dalla denuncia dell’impossibil­ità di un accordo all’affermazio­ne invece che l’accordo c ’è. Se poi si va a scavare si scopre che le due affermazio­ni sono ugualmente arbitrarie. Se lui fosse il presidente di una repubblica parlamenta­re probabilme­nte qualcuno avrebbe già portato la sfiducia in parlamento. Gli Stati Uniti s o no p e rò u na monarchi a elettorale, e il “monarca” è Trump. Se non si riesce a incriminar­lo con l ’ i mpeachment, la cui procedura è molto complessa, rimarrà magari criticatis­simo, ma non può essere mandato a casa».

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Storico Sergio Romano, editoriali­sta del Corriere della Sera, in arrivo a Corvara per «Un libro un rifugio»

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